Coppi Night 23/04/2017 - Capitan America: Civil War

Era da tempo che non capitava al Coppi Club un onesto film di supereroi, e la cosa non mi creava troppo disturbo, visto che in genere ho difficoltà a godere di questi blockbuster apprezzati dai più. Stavolta mi sono lasciato convincere, anche perché da quanto si diceva in giro, pare che questo Civil War sia davvero spettacolare. Considerati i precedenti, sono partito con aspettative pari a zero, e i primi minuti del film mi hanno confermato che non mi sarei divertito.

In seguito però le cose si sono riassestate, quando è iniziato a emergere il conflitto che è il nucleo di base della storia, e che viene ben incarnato dalla scelta di Capitan America: continuare sulle proprie scelte, quando sei sicuro di essere nel giusto, anche se tutto il mondo ti va contro. Certo, si tratta di una condotta pericolosamente affine al fanatismo, ma chi se non Capitan America può esprimere le migliori virtù di moralità, buon senso, giustizia?

Devo ammettere quindi che una volta entrati nel tema di base della storia, il film non è male come credevo. Alcune sequenze sono in effetti molto spettacolari (la fuga con l'elicottero, la famigerata battaglia dell'aeroporto) e da questo punto di vista il lavoro fatto è di ottimo livello, probabilmente eccellente se visto sullo schermo del cinema. Rimane sempre il problema (endemico dei film Marvel) che il villain di turno non sia all'altezza degli eroi, in questo caso con un cattivo che attua lo stesso piano di Loki nel primo film (controllare uno del gruppo e metterlo contro gli altri) e che di fatto invece di attaccare gli Avengers fa in modo che combattano tra loro.

E soprattutto per me rimane l'irritante incapacità di definire e circoscrivere i poteri di alcuni dei supereroi. In particolare Scarlett Witch, che è pure la causa scatenate di tutti i casini e Visione. La prima in Age of Ultron sembrava una sorta di regina degli incubi, ora invece è diventata una supertelecineta che riesce a contenere le esplosioni, dissipare il gas, sparare dalle mani e volare: quindi, cosa fa? Stesso vale per Visione, che può passare attraverso gli oggetti, ma non si sa perché, mi sembra un potere molto arbitrario per un androide. Torna poi l'incoerenza di base di Ant-Man, che viene presentato nel suo film come capace di modificare le sue dimensioni mantenendo la massa, il che gli renderebbe impossibile volare a cavallo di una freccia. E infine Spiderman, per quanto piacevole nelle sequenze di combattimento si dimostra forse fin troppo forte (sostiene con le braccia un ponte di cemento che lo sta schiacciando!) per essere un ragazzino con la tuta che spara ragnatele.

Quindi ok, non ho sofferto quando avrei creduto, ma ho dovuto ingoiare più volte il magone che queste incoerenze ripetute mi facevano salire a ogni occasione. Non basta per me a redimere l'intero confuso MCU, ma sono più comprensivo verso chi afferma di apprezzarlo.

Doctor Who 10x02 - Smile

Dopo aver conosciuto la nuova companion e appreso che il Dottore si è impegnato a tenere sotto controllo una stanza sigillata sotto l'università (qui mi ero perso qualche battuta nell'episodio precedente, infatti nel mio commento dicevo che non si era ancora intuito quale fosse l'arco narrativo di questa stagione, ma è già abbastanza chiaro che sarà proprio quella stanza segreta), siamo pronti per la prima avventura off-world della stagione 10. Come spesso accade, è il Dottore stesso a chiedere alla nuova compagna di viaggio dove vuole andare: passato o futuro? La scelta è per il futuro, e il Tardis porta i due su un pianeta non identificato che costituisce una delle prime colonie umane al di fuori della Terra. Troviamo qui i temibili emojibot, piccoli e goffi robottoni con facce da emoji che rilevano lo stato d'animo degli umani. Questi sono in realtà solo l'interfaccia dei veri occupanti robotici della colonia, stormi di nanobot che di fatto costituiscono la struttura stessa della città deserta. Qualcosa è andato storto e i robot uccidono gli umani che si dimostrano infelici, così quando il Dottore e Bill scoprono cosa è successo sono costretti a fuggire con il sorriso. Salvo poi tornare per sistemare le cose.

Di Smile va detto innanzitutto non brilla per originalità. Più o meno tutti gli elementi della storia si possono ritrovare sia in episodi precedenti di Doctor Who che in altre opere anche piuttosto note. I robot con faccia-emoticon si vedono ad esempio nel film Moon di Duncan Jones, mentre gli omicidi compiuti dai nanobot volanti si sono visti di recente in Black Mirror, nell'ultimo episodio finora trasmesso Hated in the Nation. Anche l'obbligo di sorriso non è così strabiliante, perché di dittature della felicità se ne vedono spesso nella fantascienza. Infine, il nemico che in realtà non è cattivo ma soltanto incompreso è talmente frequente in DW (basta andare all'episodio della settimana scorsa) che davvero, qualche volta sarebbe bello avere un villain che è semplicemente e genuinamente stronzo. Ma in fondo l'originalità è merce davvero rara, in particolare per una serie iniziata cinquant'anni fa, e non è comunque garanzia di successo.

Lasciando quindi da parte l'originalità come criterio di valutazione, la puntata presenta comunque qualche inceppamento. I primi due atti riescono a creare tensione (per quanto sia possibile farlo attraverso gli emoji): si passa da identificare la minaccia a decidere come eliminarla. È nella parte finale che le cose si fanno confuse e contraddittorie. Quando si scopre che sul pianeta sono già presenti i coloni e questi si armano subito per distruggere i robot, il Dottore è costretto a intervenire e lo fa con un colpo di cacciavite sonico, semplicemente resettando i robot così che possano reimparare da capo la convivenza con gli umani. Anzi, è a questi ultimi che raccomanda "teneteveli buoni, perché i veri padroni di questo mondo sono loro". Francamente, se io fossi stato uno di quei coloni appena decriogenizzato e mi avvessero detto di farmi amico i robot idioti che hanno ammazzato la mia famiglia perché non sapevano come rapportarsi con il dolore... beh, insomma, qualche dubbio su come quel vecchio pazzo con la giacca ha gestito la faccenda mi rimarrebbe. Non è la prima volta che DW si scontra con un problema simile, costruendo con abilità una situazione complessa che si risolve poi in modo banale e poco soddisfacente. Con la variante che, in questo caso, mi pare sia la prima volta in cui la soluzione non è a vantaggio degli umani!

La parte più interessante dell'episodio è forse il modo in cui si sta costruendo la relazione tra il Dottore e Bill. La nuova companion si dimostra ancora curiosa ma abbastanza umile, piena di domande, quasi come un'allieva in gita con il professore. Probabilmente lei stessa non sa ancora come considerare il Dottore, infatti in questa puntata solleva l'ipotesi che sia un poliziotto che va in giro a sistemare le cose. Da parte sua il Dottore sembra anche piuttosto protettivo, in più di un'occasione suggerisce a Bill di rimanere al sicuro mentre lui si occupa dei problemi. La breve presenza di Nardole conferma invece il cambio di ruolo dell'assistente, che adesso sembra comportarsi quasi come "la coscienza" del Dottore, ricordandogli i suoi doveri.

Pesando i vari elementi, Smile non si può ritenere un episodio di buon livello, e riesce a salvarsi forse solo per la presenza di Capaldi e Mackie e il modo in cui va definendosi la loro chimica. Fosse stato un episodio della passata stagione con una companion stagionata come Clara avrebbe perso anche quell'attrattiva, e ci saremmo probabilmente trovati con un pastrocchio come In the Forest of the Night, che guardacaso è dello stesso autore. Quindi per sicurezza direi che è il caso di smettere di farglieli scrivere, ok? Voto: 5/10

Marc Romboy - Voyage de la planète

Molte volte quando mi capita di discutere con altre persone dei miei gusti musicali (cosa che con gli anni ho imparato a evitare, così come per i gusti letterari, ma ogni tanto succede) mi trovo a dovermi "difendere" dalle accuse di inmusicalità dell'elettronica. In genere la posizione dell'interlocutore è piuttosto superficiale, e si basa sull'assunto "musica = canzone", al che mi permetto di sottolineare come certa musica elettronica abbia dei fortissimi punti di contatti con la musica classica, quella che per convenzione siamo abituati a considerare come l'essenza stessa della musica (anche su questo ci sarebbe da discutere, ma approfitto volentieri del preconcetto nell'ambito di tali dibattiti). La centralità della struttura, la gestione degli "strumenti", l'attenzione richiesta dall'ascoltatore sono a mio avviso paragonabili, se penso ad esempio ai pezzi di Villalobos, Minilogue, Ellen Allien. Questo senza andare a scomodare quegli artisti che si sono dedicati a composizione di concerti veri e propri, come il Krieg und Frieden di Apparat o Chronicles of Possibile Worlds di Jeff Mills.

Ma a partire da oggi se dovessi fare un esempio universale e inconfutabile di come musica classica ed elettronica sono sorelle (o quantomeno cugine), citerei immediatamente Voyage de la planète, l'album appena uscito di Marc Romboy.

Questo viaggio planetario è stato appositamente concepito come un'opera di raccordo tra la musica classica da orchestra e la sua controparte contemporanea, con una serie di tracce in cui la complementarità tra gli strumenti da orchestra e apparecchi elettronici è palese e assolutamente naturale, quasi scontata. Serve a mostrare a tutti gli ascoltatori che è sempre stato così, e forse sono stati loro a non aver mai prestato abbastanza attenzione.

Violino, piano, sintetizzatori, fiati, xilofoni, drum machine e tutti gli altri si affiancano con tanta leggerezza che è davvero difficile capire quando si sta ascoltando uno strumento suonato o uno sintetizzato. In questo senso, forse sono io che cerco connessioni anche dove non ci sono, ma credo si possa individuare un risultato per certi versi simile a quello ottenuto da Vale & The Varlet in Believer, di cui ho parlato poco tempo fa. Si tratta dello stesso approccio ma applicato a partire dalla direzione opposta, un equilibrio diverso ma equivalente. In realtà tutta la musica qui contenuta è composta ed eseguita dallo stesso Marc Romboy, ma l'insieme si presta perfettamente a un'esecuzione live con orchestra, occasione che è stata subito colta, e i cui risultati sono davvero straordinari. Stiamo parlando di cose come questa:


Ma come dice il titolo, Voyage de la planète è anche un viaggio, e in questo senso dimostra anche tutto il suo debito all'immaginario fantascientifico. Qualche indizio di questa tendenza tematica di Marc Romboy l'avevamo già avuto nella sua collaborazione con Stephan Bodzin alla realizzazione del progetto Luna, una vasta raccolta di pezzi dedicati ognuno a un satellite del Sistema Solare. Voyage de la planète riprende un approccio simile ed elabora invece un tributo all'esplorazione di nuovi mondi e modi di pensare, che emergono dai suoni, dalle atmosfere, dalle sequenze, dai cambi di registro. Il tutto è reso ancora più evidente dai titoli dei pezzi: l'apertura è riservata a Jules Verne, ma a seguire abbiamo L'univers étrange, L'univers parallèle, La machine du temps, La lune et l'étoile, Nocturne. Ogni traccia rappresenta una variazione del tema di fondo, e interpreta con un diverso rapporto di forze questa unione dei concetti musicali classici e moderni.

Con questa opera Marc Romboy entra di diritto nella mia personale cerchia di punti di riferimento. Da dj solo "interessante" salta di prepotenza diversi gradini e diventa qualcosa di più, un artista capace di mostrare il mondo che già conosciamo in una luce diversa. Può sembrare una formula esagerata per quello che è in fin dei conti soltanto un album di dieci tracce, ma non la uso con leggerezza. Esiste il talento, esiste la bravura e l'esperienza, ed esiste anche il genio. Qui ho il sospetto che ci troviamo dalle parti di quest'ultimo. Ma sono sempre disponibile a scoprire di nuovo, di più e di meglio, a compiere altri viaggi verso altri pianeti.

Doctor Who 10x01 - The Pilot

Dopo un lungo digiuno da Doctor Who interrotto solo da un richiamino sotto Natale, si riparte finalmente con la stagione 10, che segnerà un punto di svolta nella serie in quanto è già noto che sarà l'ultima con l'attuale incarnazione del Dottore e sotto la guida di Steven Moffat, che ha condotto lo show per cinque stagioni e attraverso il cinquantesimo anniversario.

Probabilmente c'è un significato che va oltre lo schermo nel titolo di questo episodio, che è in un certo senso il pilot di una serie che prova a ripartire. Riparte perché abbiamo una nuova companion, quindi l'occasione di fornire un nuovo punto di vista sulla vicenda del Time Lord, e riparte perché con la stagione nove e gli speciali successivi si sono chiusi alcuni degli archi narrativi che avevano trattenuto il Dottore negli ultimi anni: la ricerca di Gallifrey, la relazione morbosa con Clara Oswald, l'ultima (lunga) notte con River Song. Quello che incontriamo all'inizio della stagione dieci è un Dottore dal basso profilo, che si è limitato negli ultimi decenni a fare il professore universitario. "Non faccio più queste cose" dice "ho promesse da mantenere." Sappiamo bene che qualcosa lo porterà fuori dal suo isolamento, e d'altra parte ci aveva già provato in passato a tornare nell'ombra (vedi la fine della stagione 6), ma è chiaro che non gli è possibile.

Conosciamo anche Bill, e appare fin da subito come qualcosa di fresco e leggero. Molti fan si erano lamentati che ultimamente tutti gli accompagnatori del Dottore fossero in qualche modo "le persone più speciali dell'universo", e l'apice di questa tendenza si è raggiunto proprio con Clara, che da personaggio ricorrente in tutta la storia del Dottore è diventata per lui così importante da dover essere dimenticata. Bill invece, almeno per quanto possiamo vedere, è una ragazza normale. Non si presenta come straordinariamente brillante o coraggiosa, è curiosa ma anche spaventata, si rendo conto di trovarsi di fronte a eventi più grandi di lei. È anche lesbica, come già si sapeva, tratto che in The Pilot assuma una sua importanza, ma lo fa con naturalezza, come dovrebbe sempre essere per l'orientamente sessuale di un personaggio (cosa che non si può dire ad esempio del rapporto omo-interspecifico tra la siluriana Vastra e la sua assistente, che fin troppe volte viene sottolineato). L'altro companion occasionale Nardole, per cui avevo espresso già parecchi dubbi in precedenza, non si è dimostrato irritante quanto avrei pensato, anzi ridotta la componente macchiettistica il suo ruolo di spalla del Dottore potrebbe avere un senso, soprattutto se come è plausibile Bill non avrà il tempo (e la predisposizione) per diventare una Vicedottoressa come è stato per molte companion recenti.

La storia di The Pilot è un monster of the week abbastanza blando, una minaccia non così terribile ma abbastanza misteriosa, che il Dottore stesso non riesce a comprendere del tutto. Non c'è un vero senso di minaccia e non è in ballo la salvezza dell'umanità, il che per un episodio che è tutto sommato una series premiere va più che bene. Per la verità ci sono un paio di elementi che sembrano provenire di peso da storie precedenti: l'astronave in cerca di pilota (The Lodger, stagione 5) e le creature grondanti acqua (The Waters of Mars, uno degli speciali dopo la stagione 4). Forse si sarebbero potute trovare soluzioni estetiche diverse per non richiamare troppo le puntate passate, ma la storia fa del suo meglio per distanziarsi da queste. E anzi, per quanto accennata, la storia della ragazza che si sente fuori posto, forse a causa di una piccola imperfezione che si porta dietro da sempre, riesce ad apparire credibile e attirare empatia. Il mostro che non è davvero cattivo ma solo incompreso è un cliché ricorrente, anche in DW stesso, e può funzionare o apparire patetico: stavolta funziona.

Un'altra cosa che si può notare sotto la superficie della storia sono i numerosi particolari riferiti al passato di Doctor Who, e in particolare alla serie classica degli anni 60-80. I vecchi cacciaviti sonici (in uso dal Terzo Dottore in poi), l'incursione nella guerra tra Dalek e Movellan (visti in Destiny of the Daleks, una storia del Quarto Dottore) e soprattutto la fotografia di Susan, la nipote del Dottore che ha iniziato a viaggiare con lui tanto tempo prima, proprio nei primi episodi della serie del 1963. È da tempo che si vocifera una comparsa di Susan, e forse quel momento è arrivato, considerando che finora nella serie moderna è stata giusto citata un paio di volte ma mai nemmeno mostrata. L'impressione anzi è che quest'ultima stagione di Peter Capaldi si ricongiunga in qualche modo a quelle di William Hartnell, vista anche la presenza del primo design dei cyberman, che sono i responsabili della rigenerazione del Primo Dottore.

È ancora presto per poter dire dove punterà questa decima stagione e qual possa essere l'arco narrativo che quasi sempre si snoda lungo i vari episodi, ma alcuni indizi si possono già raccogliere. Susan, la "promessa" del Dottore, l'imminente arrivo di ben due versioni del Master... vedremo cosa ne viene fuori. Rimane il fatto che The Pilot si è dimostrato un ottimo inizio di stagione, con una bassa posta ma un'efficace gestione dei nuovi personaggi e della componente emotiva. D'altra parte si viene da una stagione nove che nonostante un paio di scivoloni è stata di livello davvero alto. E speriamo di aver sentito davvero per l'ultima volta il tema di Clara. Voto: 7/10

Dj set: 30th

Ogni tanto mi riaffaccio sul blog proponendo un dj set da me registrato. L'ultimo risale a un periodo non proprio sereno che è in qualche modo sublimato in musica, e anche questa volta si tratta di qualcosa del genere. Infatti gli 80 minuti che compongono il set linkato qui sotto è in qualche modo una rielaborazione del 2016, l'anno dei miei trent'anni. Questo non significa contiene pezzi del 2016, i miei set sono sempre "astorici", ma racchiude in sé il mood dell'anno da poco trascorso. Che in effetti non è un mood troppo spensierato.

30th contiene alcuni pezzi di cui ho parlato in alcuni post musicali comparsi ultimanete sul blog, ad esempio quelli di Atelier Francesco, Telefon Tel Aviv, Moderat, Stephan Bodzin e Paul Kalkbrenner. Il resto proviene da fonti varie passate e recenti, con alcuni nomi piuttosto ricorrenti. Potete sentirlo qui sotto, e con l'occasione vi ricordo che sulla mia pagina Mixcloud trovate anche gli altri miei dj set registrati negli anni.



Coppi Night 09/04/2017 - La scoperta

Netflix ormai si è già ricavato una posizione di rilievo nell'offerta cinematografica attuale, visto che dopo le serie tv adesso ha preso a rilasciare anche film con una certa frequenza. Se alcune produzioni possono essere considerate di medio livello (ad esempio Spectral) altre rivaleggiano con il cinema "ufficiale" per regia, comparto tecnico, attori di "fascia alta". È questo il caso di The Discovery, che vede nel cast principale Robert Redford, Jason Segel e Rooney Mara e si presenta con un livello qualitativo che non sfigurerebbe visto sul grande schermo. E anche la storia è molto ambiziosa.

La "scoperta" del titolo è quella dell'aldilà. Un neurologo (Redford) ha dimostrato scientificamente l'esistenza di un qualche tipo di vita oltre la morte, o per lo meno della prosecuzione della coscienza in un'altra forma dopo la morte corporale. La scoperta, diffusa presto in tutto il mondo, ha provocato un elevato numero di suicidi, perché in fondo, che sbattersi a fare quando sai che c'è qualcosa dopo? A distanza di qualche anno dall'annuncio seguiamo il figlio dello scienziato (Segel), convocato dal padre in una villa isolata dove sta compiendo ulteriori esperimenti sull'aldilà. Durante il viaggio incontra una donna (Mara), che poco dopo è lui a salvare dal suicidio e portare all'interno della comunità del padre.

Il film prende di petto un tema molto profondo e controverso. Si potrebbe pensare che, una volta dimostrata l'esistenza dell'aldilà, si raggiungerebbe il consenso sul significato e il valore della vita, ma così non è. L'immortalità della coscienza non avalla automaticamente nessuna religione, né dà indizi ulteriori su come sia questa oltre-vita. Per cui c'è chi (come il protagonista) non è affatto convinto che il suicidio sia la scelta più vantaggiosa, e c'è chi pur non dando particolare valore alla vita non è capace di togliersela. Da questa differenze di visioni nasce il conflitto tra il protagonista e suo padre ma anche il fratello, la ragazza e gli altri ospiti/operai della villa. Ne emerge un quadro complesso, in cui non è facile identificare un'unica prospettiva corretta e rimane aperto a interpretazioni ancora differenti.

Poi però succede qualcosa. Nell'ultima parte del film viene approfondita una sottotrama di "investigazione", e nel climax finale emerge un plot twist che non sembra del tutto coerente con quanto visto fino a quel momento. È una visione comunque affascinante, che dà un nuovo significato a tutta la storia (e per certi versi, affine ad alcuni temi da me sviluppati in Dimenticami Trovami Sognami... mica ve la prendete se ne approfitto per spiattellare con nonchalance la copertina?), però sembra essere la conclusione di una storia diversa da quella con cui il film era iniziato. Certo non mi aspettavo che fosse rivelata la "verità" sulla vita dopo la morte o che il technobabble che giustifica la scoperta fosse spiegato interamente, ma il senso finale della vicenda (così come proprio l'ultima scena) sembra adattarsi a tutt'altro tipo di storia e di conseguenza lascia incompiuto ciò che si era aperto inizialmente. Non mi sentirei di definirlo uno scivolone, perché il film gestisce comunque con competenza e intensità anche questo twist, e non si può non rimanerne colpiti. Però appunto, la conclusione fa passare in secondo piano tutta la storia precedente e si arriva quasi a dubitare che tutto la scoperta stessa abbia davvero l'impatto che si pensa inizialmente.

C'è anche da rilevare qualche difformità minore, con alcune scene leggermente fuori registro (mi riferisco soprattutto alla sequenza dell'obitiorio) e qualche incoerenza nello sviluppo dei personaggi, che non sempre sembrano comportarsi come dovrebbero. Anche la relazione tra il protagonista e la ragazza sembra svilupparsi in modo alquanto innaturale, come se a un certo punto il regista avesse semplicemente detto "ok, manca mezz'ora alla fine del film, ora bisogna che vi baciate".

The Discovery merita sicuramente la visione, ma a mio avviso avrebbe avuto bisogno di una maggiore focalizzazione. Si sarebbe potuto interlacciare le due storie principali in modo più profondo, o forse ancora meglio concentrarsi su una sola, senza rincorrere il twist a tutti i costi e dando più forza ai personaggi e alle loro scelte.

Rapporto letture - Marzo 2017



Marzo è iniziato con la lettura dell'epico Seveneves (iniziata già a metà febbraio), ultimo romanzo di Neal Stephenson che dovevo ancora recuperare, di cui ho già parlato in un post dedicato e per il quale non mi soffermo ulteriormente. Finito questo volume enorme e complesso, ho pensato di "disintossicarmi" dalla hard sf e alleggerire con qualche lettura meno impegnativa.





Ho pensato che l'ideale per un defaticamento completo era leggere qualche racconto, e così ho recuperato la raccolta Mucho Mojo Club vol. 1, un'antologia di racconti thriller/noir curata appunto dal Mucho Mojo Club, club letteriario ideato da Mauro Falciani, un libraio indipendente di Firenze (con l'occasione vi invito a conoscere e visitare la libreria Mucho Mojo). Falciani ha chiesto a una decina di autori di livello internazionale di prestargli un racconto per questa raccolta e ognuno di loro ha dato il suo contributo. Perosnalmente non sono un appassionato del genere e quind anche i nomi non mi sono familiari, ma si capisce subito che si tratta di professionisti. Come in tutte le raccolte il livello dei racconti non è sempre costante, alcuni sono meglio riusciti di altri, ma la lettura è sempre piacevole e almeno in un paio di casi inquietante al punto giusto. Un volume quindi ben riuscito, oltre che un'iniziativa da promuovere e sostenere, per cui se vi piace il thriller puntateci gli occhi. Voto: 7/10


Mantenendomi ancora al di fuori del familiare territorio della narrativa fantastica, ho pensato che fosse il momento giusto per leggere Apologia del porco, romanzo di Marco Di Pinto pubblicato un paio di anni fa da I Sognatori (la casa editrice con cui è uscito il mio Spore). Come già esplicitato dalla dedica, Apologia del porco è una storia che mette in evidenza lo sfruttamento dei lavoratori, in questo caso nella Puglia contemporanea, ma in fondo non così diversa da quello che si può trovare in altri posti e altre epoche. La narrazione in prima persona del giovane protagonista che si trova a lavorare per un imprenditore del settore alimentare riporta mancanze, soprusi, umiliazioni e tutta una serie di piccoli episodi sgradevoli. Il tono rimane comunque leggero, quindi la bassezza dei personaggi non porta a una storia cupa, purtroppo quello che mi è sembrato mancare è proprio un arco di sviluppo dei personaggi. Sia il protagonista che l'antagonista non seguono un percorso, manca un vero e proprio finale che concluda la vicenda. Insomma per quanto interessante, alla fine sembra incompleto. Voto: 6/10


E poi vabbè, posso provarci quanto voglio ma poi sempre alla fantascienza torno. E così l'ultimo giorno del mese sono riuscito a infilarci anche uno degli ultimi titoli di Future Fiction, il racconto Sinestesia di Oliver Paquet (incuriosito anche dal fatto che c'è in giro un mio racconto con lo stesso titolo). Storia di un'invasione aliena su un mondo abitato da umani e altre razze, l'elemento di spicco del racconto è il modo in cui gli uomini abbiano sviluppato una tecnologia capace di aprire passaggi per altri mondi, attraverso l'uso di IA "emotive". Solo un piccolo scorcio di un universo molto vasto, di cui si può apprezzare la grande immaginazione nonostante la brevità. Voto: 7/10

Coppi Night 02/04/2017 - Il bosco ha fame

Per una volta mi sento di promuovere il titolo italiano, decisamente più accattivante dell'originale Wrong Turn che non dà nessuna indicazione sul contenuto.

Un onesto b-movie horror con classico gruppo di ragazzi sprovveduti braccati dal mostro di turno, nel caso specifico un trio di montanari cannibali. Tutto inizia con il protagonista che rimane bloccato nel traffico e per arrivare in tempo a un colloquio importante decide di fare una strada alternativa che passa in mezzo al bosco. Qui si schianta contro il camper di un gruppo di amici fermo in mezzo alla strada, mettendo fuori uso entrambi i mezzi di trasporto. Per cercare aiuto sono costretti quindi ad attraversare il bosco per raggiungere la civiltà.

Tutto procede come da copione: il gruppo si separa e si assiste alle prime vittime che come nella migliore tradizione sono quelli rimasti da parte a drogarsi e fare sesso (non c'era nessun nero nella comitiva, altrimenti sarebbe toccato a lui). Gli altri raggiungono invece proprio l'abitazione dei cannibali, e quando capiscono che c'è qualcosa di strano nei vasetti di interiora conservati in frigorifero è troppo tardi, perché gli inquilini sono rientrati portandosi dietro i cadaveri dei loro amici.

Dopodiché si succedono fughe, nascondigli, infortuni e morti alla spicciolata. Degno di nota comunque il fatto che i ragazzi non si comportino da decerebrati come avviene di solito in questo tipo di film, e che le loro reazioni sono per lo più ragionevoli per quanto possano esserlo in un contesto del genere. Dall'altra parte anche i tre cannibali (non è chiaro se imparentati tra loro) si dimostrano piuttosto intelligenti e capaci di rappresentare una sfida reale, cosa non scontata per questo livello di horror, dove di solito i protagonisti soffrono unicamente per la loro propria stupidità. Tutto sommato la credibilità vacilla solo in un paio di occasioni, e non in modo così drammatico.

Naturalmente nessuno grida al capolavoro, ma il film non si rivela irritante quanto le premesse potevano far supporre, ha un buon livello di gore e delle sequenze d'azione valide. Quindi alla fine un prodotto più gradevole di altri sul tema del cannibalismo, tabù così forte che in molti casi pare che basti invocarlo per dare spessore a una trama, quando in realtà non c'è niente intorno. Ce l'ho con te, Green Inferno.