Coppi Night 28/12/14 - Boris il film

La visione di Boris - Il film è capitata proprio nel periodo in cui sto riguardando le tre stagioni della serie tv da cui il film è nato. Non ricordo bene come sono arrivato a Boris, probabilmente dietro segnalazione su qualche forum, perché per me l'argomento "serie tv italiana" non esiste proprio. Una delle cose sorprendenti di questa serie è vedere gli attori che solitamente appaiono come completi deficienti nelle svariate sitcom, esibirsi invece con padronanza e intelligenza. Viene da pensare che davvero il problema non sia tanto delle interpretazioni quanto delle specifiche richieste del canale "sitcom italiana". Inoltre Boris ha anche un contenuto metanarrativo per niente banale, il che è quasi automatico per una serie tv su una serie tv, ma la cosa si estende a un livello più profondo della sola mise en abyme.

Tutte queste però sono considerazioni che valgono soprattutto per la serie, prima che per il film. Concentriamoci invece su questo. La storia è semplice: dopo un'intera "carriera" passata a dirigere prodotti televisivi, il regista René Ferretti (che poi è il vero protagonista, anche se inizialmente il PoV è quello dello stagista) approda al cinema con un progetto nelle intenzioni grandioso: il film tratto da La casta (chiaro richiamo all'operazione fatta con Gomorra). Dopo aver tentato di mettere insieme uno staff di alto livello, Ferretti (il sempre eccezionale Francesco Pannofino, di cui siamo abituati a sentire la voce ma che si rivela anche un ottimo attore) capisce che può lavorare serenamente solo con la squadra di disperati, sottopagati, incapaci, disonesti e paraculi con cui ha lavorato alle fiction. Il progetto iniziale così si trasforma e diventa tutt'altra cosa.

È subito evidente anche qui l'effetto ricorsivo: regista e autori passano dalla tv al cinema, che è proprio quello che succede alla produzione del film. Lungo il percorso che porta alla versione definitiva del film si susseguono una serie di gag e situazioni al limite del surreale, solitamente risolte con una semplice alzata di spalle, percorrendo il solco già tracciato dal Boris televisivo. Nel film compaiono più o meno tutti i personaggi che si sono visti durante la serie, alcuni con un ruolo principale altri come brevi cameo, oltre a decine di riferimenti a vicende già note. Questo da una parte può essere stato un punto di forza del film, ma dall'altro è anche una debolezza: l'impressione infatti è che più di una storia a sé si sia voluto creare un lungo "omaggio" alla serie madre, con frequenti rimandi e citazioni. Per lo spettatore casuale alcuni volti e discorsi possono avere poco senso, proprio perché affondano nella "mitologia" della serie. Un altro aspetto che mi ha un po' deluso è stata la conclusione del progetto su La casta, che mi è sempre parso leggermente retorico: insomma non puoi dire che fare "un bel film" è impossibile perché non si riesce a lavorare coi professionisti, e poi far vedere che l'unica cosa valida è il cinepanettone. Mi è sembrata una soluzione semplicistica, troppo banalmente anti-populista, quando in altre occasioni gli autori di Boris hanno saputo essere molto più sottili. Infine l'ultimo appunto è che c'è troppo poco Stanis, personaggio cardine di tutta la serie ma che qui non si esprime abbastanza (anche in questo caso è sconvolgente notare quanto l'attore Pietro Sermonti sia bravo a interpretare la parodia di se stesso).

Il film di fatto non ha avuto il successo sperato, e questo ha affossato le possibilità di una quarta stagione di Boris, di cui si è parlato ma che alla fine sembra non essersi concretizzato. Forse in questo non è un male che la storia finisca, perché per quanto il film riesca a essere divertente forse negli anni si è effettivamente annacquato il senso iniziale che ha fatto di questa serie un prodotto quasi rivoluzionario, sicuramente unico nel panorama italiano.

Doctor Who Christmas Special 2014 - Last Christmas

Da quando Doctor Who è tornato in tv nel 2005, lo "speciale natalizio" è un episodio generalmente leggero, in cui la presenza del Dottore serve a scongiurare una qualche minaccia ma soprattutto a riunire qualche famiglia per il cenone della vigilia. Ci sono stati anche degli speciali più intensi e drammatici, e in effetti sia Ten che Eleven se ne sono andati nel corso di un episodio di Natale, facendo spazio alla rigenerazione successiva. In questo caso il tono dello speciale è decisamente cupo, in effetti in linea con quello che è stato l'andamento dell'ottava stagione portata a casa da Peter Capaldi.

Last Christmas si potrebbe definire un mash-up tra Alien, La cosa e Inception. Abbiamo la base polare, alieni ostili trovati nei ghiacci artici, creature che hanno l'aspetto e il comportanto dei facehugger del film di Ridley Scott, ma che invece di impiantarsi nell'ospite inducono uno stato di sogno durante il quale consumano il cervello della vittima. Le similitudini sono così sfacciate che non si può parlare di plagio (due di questi sono direttamente citati all'interno della storia), anche perché c'è differenza tra copiare una storia e utilizzare alcuni elementi di base per la sua costruzione. Senza addentrarsi in un discorso sugli archetipi e le storie originali che erano già finite ai tempi di Omero, penso che non si possa in questo caso parlare di una trama non originale: ci saranno anche i facehugger (che qui si chiamano dream crab, e rimangono attaccati alla testa delle vittime, facendoli quasi assomigliare agli headcrab di Half-Life), ma la loro funzione è diversa; così come ci sono sogni dentro i sogni, e la necessità di capire qual è il livello della realtà, ma anche questo non ha le stesse implicazioni di Inception (e se è per quello, non è nemmeno che questo concetto se lo sia inventato Nolan). Questi dream crab, che sono il mostro dell'episodio, sono un'altra invenzione tipicamente moffatiana: dopo quelli che possono muoversi solo quando non sono visti, quelli che non possono essere ricordati, quelli che si muovono solo quando non li vedi, quelli che non ti vedono se trattieni il respiro, ecco quelli che ti vedono solo quando pensi a loro. Di nuovo la prima forma di difesa è trattenersi dal fare una cosa istintiva e quasi impossibile: come puoi non pensare al mostro che ti sta per attacare, anche sapendo che il suo attacco sarà scatenato dal fatto che tu stai pensando a lui? Questo elemento fa dei dream crab delle creature sicuramente interessanti per l'insolito apparato sensoriale di cui dispongono, ma non è la loro caratteristica principale.

Infatti questi parassiti si attaccano alla testa e iniziano lentamente a digerire il cervello dell'ospite, inducendo un rassicurante stato di sogno come anestetico. Anzi, il sogno ha livelli multipli, si tratta di sogni-nei-sogni, ed è quindi molto difficile riuscire a capire quando la creatura sta ancora attaccando e quando è sconfitta. Ora, quando si gioca con elementi della trama che finiscono nel "era tutto un sogno" il rischio è alto, perché lo spettatore investe in una determinata situazione e su determinati personaggi, e socprire che tutto questo non è mai avvenuto può essere frustrante. In questa storia però non ci sono passaggi disonesti, anzi, l'idea del mondo onirico illusorio emerge abbastanza presto, e quando per la prima volta Clara entra in uno di questi sogni è chiaro fin da subito (anche perché c'è Danny Pink, che sappiamo essere morto già due volte). Non viene quindi usato il banale trucchetto del "tutto quello che avete visto non è mai successo", anzi, i personaggi coinvolti anche se si trovano in una situazione che è reale fino a un certo punto stanno comunque rischiando seriamente.

Quelli che potevano essere i due elementi di maggior diffidenza (l'affinità con altre opere e il tema del sogno) sono in realtà stati gestiti bene. Che cos'altro c'è in questo episodio di notevole? Beh, innanzituto la presenza di Babbo Natale: Moffat aveva dichiarato prima della messa in onda che non si trattava di un robot, o un alieno mascherato, o qualunque altro artificio del genere: è proprio lui, il Santa Claus che conosciamo... e in effetti è così, anche se come al solito Moffat ha giocato molto sul significato letterale delle sue frasi. Il ruolo di Babbo Natale (un ottimo Nick Frost) riesce a essere al tempo stesso epico e dissacrante, e il suo rapporto con il Dottore nel corso dell'episodio è valido, anche se ricorda per certi versi qualcosa di già visto in Robot of Sherwood. Peraltro a ben vedere la sua apparizione alla fine di Death in Heaven risulta coerente con la soluzione della storia. Gli altri personaggi, per quanto marginali, svolgono un ruolo efficace, e una posizione di spicco è quella della giovane ragazza, Shona, e forse questo potrebbe essere un indizio delle cose che vedremo in seguito?

Ciò che mi ha convinto meno, anche in questo caso, è il rapporto del Dottore con Clara. O meglio, non sappiamo quanto tempo è passato dal loro ultimo abbraccio, quando entrambi hanno mentito all'altro fingendo di aver trovato quello che volevano, ma è chiaro che quella traccia di risentimento nei confronti del Time Lordo è svanita. Si era parlato molto della possibilità che questo fosse l'ultimo episodio di Clara, e quando il Dottore arriva a salvare una Clara ottuagenaria avevo pensato che potesse effettivamente essere questo il saluto definitivo. Sarebbe stata anche una conclusione circolare, visto che Clara ha visto invecchiare fino a un passo dalla morte la precedente incarnazione con il vosto di Matt Smith, in questo modo il cerchio si sarebbe chiuso, dando una degna conclusione al ruolo di Clara all'interno del percorso del Dottore. Invece non è così, e sappiamo che (probabilmente per banali esigenze di produzione) Jenna Coleman continuerà a essere in Doctor Who nella nona stagione, almeno per i primi episodi. In effetti si parla già di un suo abbandono entro metà della nuova stagione, e questo apre il totocopanion.

Infatti, pare che il prossimo companion fisso del Dottore sia in realtà un personaggio già incontrato: qualcuno punta sulla ragazzina che è già salita sul Tardis in Kill the Moon, anche se probabilmente è troppo giovane, almeno per esere l'unica companion. Ecco allora che l'attenzione si focalizza su questa Shona che abbiamo appena conosciuto, che si è subito fatta notare e che sembra avere un atteggiamento molto curioso nei confronti del Dottore. C'è anche un altro elemento a favore di questa ipotesi: sappiamo già che il titolo del primo episodio della stagione 9 sarò The Magician's Apprentice, e Shona ha detto un paio di volte che il Dottore ha l'abbigliamento e l'attitudine di un prestigiatore: vorrà forse dire che sia lei l'apprendista che vedremo arrivare? Al solito buona parte di queste sono solo speculazioni, rumors che alla fine dei conti non trovano nessuna conferma e su cui si possono perdere delle ore senza ricavare nulla di concreto.

Ma a parte questo, che cosa ci si può aspettare nella nuova stagione? Ci sono alcuni temi che, pur essendo centrali, non sono stati affrontati in questi tredici episodi. Innanzitutto la posizione di Gallifrey, che forse rimarrà per molto un arco narrativo di fondo da tirare fuori solo negli episodi cardine. Sarebbe stato però interessante vedere il Dottore cercare attivamente il suo pianeta e la sua gente, almeno un paio di volte. In secondo luogo, il Master, nella nuova versione Missy (interpretato da Michelle Gomez) sappiamo già che tornerà. Come facevo notare nella recensione del season finale, la sua fine era troppo anticlimatica per poter essere vera, e anche se ciò non toglie che il personaggio è stato gestito male in quell'episodio, è rassicurante sapere che lo rivedremo (magari con un po' di backstory, eh?). Infine, rimane la questione del volto scelto dal Dottore per la sua ultima rigenerazione: sappiamo (ed è stato confermato in Deep Breath) che l'aspetto che ha preso non è casuale, e che c'è una spiegazione concordata tra Moffat e RT Davies, ma dopo quel primo accenno non se ne è più parlato, eppure io credo che sia uno dei temi più avvincenti di tutta la serie.

Il bilancio complessivo della stagione è quindi positivo, nonostante qualche scivolone (terribile In the Forest of the Night e superficiale il season finale), quindi si può sperare che la successiva si mantenga su buoni livelli. Si inizia a sentire l'esigenza di un rinnovamento e questo sarà probabilmente ottenuto sostituendo il companion principale. Vedremo se basterà a far tornare lo show dedicato principalmente al Time Lord, invece di una sorta di Clara Who, come alcuni si sono lamentati ultimamente. Per questo episodio di Natale in ogni caso la valutazione finale è un voto 7.5/10

Musica elettronica che conoscete già

Come ho già spiegato nell'ultimo post, in queste settimane "non arrivo", come si dice a casa mia, cioè ne ho parecchie da seguire e quindi cerco di alleggerire l'impegno sul blog, con post meno ragionati del solito. Ecco perché dopo avervi consigliato alcuni libri da regalare, e alcuni film da vedere per capire il cinema di fantascienza, stavolta passo alla musica e vi segnalo alcuni pezzi che conoscete già.

"Ma che sei scemo?", mi dovreste subito riprendere, cazzo serve se vi segnalo musica che già conoscete? Aspetta, non è così semplice. Se seguite i miei post musicali (ma ne dubito) sapete già che il mio orientamento in tal senso è su generi piuttosto di nicchia, ovvero varie diramazioni (più o meno tutte) di musica elettronica, con qualche concessione a contaminazioni varie. Ora, questo non è il genere più popolare e ancor meno populistico, almeno nella sua forma più matura. Quindi capita che uno si possa trovare a sentire un pezzo e pensare "ehi, mica male", ma non sapendone niente (e avendo il culo troppo pesante per fare una ricerca su google) non abbia poi modo di apprfondire. L'idea per il post mi è venuta in seguito alla casuale scoperta del pezzo da cui è tratta la sigla di Futurama, avvenuta grazie a una pubblicità: mi sono detto che una cosa del genere può capitare anche ad altri, e posso in certi casi aiutare ad orientarsi.

Quelli che seguono sono quindi alcuni pezzi che probabilmente avete già sentito, ma che magari non vi siete mai presi la briga di capire meglio. Canzoni presenti in film, o spot, di media-grande diffusione. Oltre a segnalare il pezzo in sé vi darò alcune indicazioni su come trovare qualcosa di simile (anche nei miei dj set).


 

Cominciamo con una facile: Born Slippy degli Underworld. Traccia famosa soprattutto per la colonna sonora del film cult Trainspotting, ma alcuni qui da noi possono ricordarla anche come "quella che c'è nel Ciclone" (sì, il film di Pieraccioni, che a suo modo è un cult pure quello). Ora, la canzone è famosissima, anche se in pochi in realtà la conoscono oltre i 4 minuti e mezzo, ovvero quando finisce la parte cantata e seguono altri 6 minuti di sola musica. Questa è ottima techno, che regge benissimo gli anni, ma dopotutto gli Underworld sono punti di riferimento dell'elettronica da qualche decennio. Se vi piace questo tipo di musica, oltre naturalmente ad altri pezzi sempre del duo britannico (nello stesso Trainspotting potete sentire anche Dark Train) potete provare ad ascoltare qualcosa di Heiko Laux, Jacek Sienkiewicz o al limite Dj Koze per la parte strumentale, mentre se è la parte iniziale che gradite è più difficile trovare pezzi simili, perché le lyrics degli Underworld sono da sempre uniche (la leggenda narra che siano tratte da pezzi di conversazioni udite causalmente), però potreste avere fortuna con alcuni dei remix di Gluteus Maximus, ad esempio quello di Gobbledigook dei Sigur Ros.

Una versione alternativa di Born Slippy si trova nel mio set 90 Reloaded, ma incursioni degli Underworld si trovano in molti altri (quasi tutti).




Altra scelta abbastanza scontata è quella di Porcelain di Moby, che avete sentito come minimo in The Beach, o al limite in C'era un cinese in coma di Verdone, ma sicuramente anche in molte altre occasioni. In questo caso è facile che conosciate addirittura l'autore, perché Moby è uno dei pochi artisti nato nella musica elettronica che è riuscito a sviluppare anche una vena pop. Certo l'impatto di Porcelain non è lo stesso di altri suoi pezzi come New York New York o We're All Made of Stars, e allora che fare se è questo che cercate? Questo genere di breakbeat/chillout non è esattamente tra i miei sottogeneri preferiti, ma potrete trovare sicuramente ispirzione coi Boards of Canada. In realtà molti dj famosi per tutt'altro genere si dedicano spesso a uno o due tracce di questo tipo, magari da inserire nei loro album, per questo mi sento di consigliare anche le frequenti incursioni lounge di Mauro Picotto (Cry, Little Iguana, Underwater Talk), Markus Schulz (Lightwave, Arial, Without You Near) e Above and Beyond (esiste una versione instrumental/chillout di quasi ogni loro pezzo).

Sempre in 90 Reloaded trovate un remix proprio di Porcelain.




Avete visto Blade, vero? Allora la scena che vi è rimasta più impressa è di certo quella della discoteca, con centinaia di vampiri che ballano e a un certo punto vengono investiti da una pioggia di sangue. Durante quella scena, potete sentire in sottofondo Confusion dei New Order, nel remix dl 1995 di Pump Panel (la traccia originale c'azzecca poco, eh). Qui si va su una progressive/acid techno che oggigiorno non si fa più, ma potete trovare roba simile se cercate i vecchi successi di Emmanuel Top, o certi pezzi di Kai Tracid. Se siete per l'autarchia e volete roba italiana, Paolo Kighine vi potrebbe aiutare, mentre se crecate soprattutto la componente "acid" allora è il caso di provare Plastikman.




Andiamo su qualcosa di più ricercato: non potete dirvi italiani se non avete visto La grande bellezza, visto che dopo l'Oscar ve l'hanno fatta ingoiare a forza. Avete presente la scena in cui il protagonista incontra la Ferilli nel night club? In sottofondo c'è un pezzo di cui si sente forse un minuto, ma potrebbe esservi rimasto in testa: quel pezzo è Take My Breath Away di Gui Boratto, dj brasiliano che rientra tra i miei artisti preferiti degli ultimi 4-5 anni. Il suo è un genere ibrido, una techno con grande attenzione per la melodia, al limite della neotrance. Tutta la sua produzione è da seguire (potreste aver sentito anche No Turning Back che ha avuto qualche passaggio in radio), ma se cercate altra roba di questo tipo direi che potete approfondire con Booka Shade, Pig and Dan, Fairmont.

Potete trovare Take My Breath Away nel mio set The L World, ma altri pezzi di Boratto sono sparsi qua e là.




Infine usciamo dall'ambito cinematografico, perché A New Error dei Moderat non mi risulta si senta in nessun film, ma è invece apparsa di recente in alcune pubblicità, per la verità piuttosto ignobili: quella dell'Enel di un anno fa circa, che concludeva con l'hashtag #guerrieri (che coraggio!), e, diomio, nel promo della nuova trasmissione di Adam Kadmon (!!!) che non mi ricordo come si chiama. Io mi auguro che i Moderat non sapessero che il loro pezzo è stato usato per questo perché credo si vergognerebbero, sia come sia, questa traccia rimane comunque meravigliosa. Ho già parlato diverse volte sul blog dei Moderat, che sono la fusione del duo Modeselektor e di Apparat. La loro musica viene definita IDM, dove la I sta per intelligent, e ci sarà un motivo. Va da sé che se cercate qualcosa di simle potete ascoltare le produzioni "in singolo" di Apparat e Modeselektor, ma potete investire tempo anche con Ellen Allien, Paul Kalkbrenner, Nathan Fake. Questa è la musica del futuro gente, quindi non rimanete indietro!

Questo pezzo specifico non lo trovate nei miei set, ma Apparat, Allien e Kalkbrenner abbondano.

Consigli di visione per non addetti ai lavori

Si dice che le ultime settimane dell'anno siano periodo di bilanci, di serenità e riflessioni, ma qui le cose sono ben diverse. Già dalla fine del mese scorso mi ritrovo con una valanga di impegni, progetti da seguire, accordi da chiudere. Da una parte c'è il normale picco sul lavoro, poi i lavori per la revisione di Retcon (ci siamo quasi, gente, e so anche il nuovo titolo ma ancora non ve lo dico!), poi sto organizzando nuovi approdi per Spore, e i regali, vogliamo parlare dei regali!? Ma non premetto questo per farmi commiserare (cioè, fatelo pure se ritenete), è che il blog un po' risente di tutto ciò, perché le mie energie sono già assorbite, infatti non sto postando con l'usuale frequenza. E mi va anche di mettere insieme dei post più "leggeri", che riesco a scrivere in 10 minuti e non mi impegnano troppo a livello cognitivo, come quello sui suggerimenti per i libri da regalare.

Ecco allora che ho pensato di chiudere finalmente l'ideale trittico di "consigli per non addetti ai lavori", ovvero suggerimenti di libri, musica e film per far comprendere i generi e i temi più spesso trattati su questo blog a chi di solito non li frequenta. Ho già parlato di libri e dischi, mancava solo una lista di film. E visto che il periodo delle feste è per eccellenza dedicato al cinema, ho pensato che fosse il momento ideale per proporvi una lista di film di fantascienza che potete guardare anche se la fantascienza non vi interessa. Tanto più che quest'anno non c'è nemmeno il film dei Vanzina al cinema, in qualche modo dovrete passare la sera di Natale e Santo Stefano, no?

Questi sono 5 film di buona fantascienza, anche se potrebbero non sembrarlo, e che riescono a dare un'idea di cosa la fantascienza può fare, se messa in mano a gente competente. Alcuni sono film che ho anche già recensito, qui o altrove, all'interno del Coppi Club o a sé, in questi casi limiterò il commento alle ragioni per cui lo includo nella lista. L'elenco seguente non ha alcun ordine preciso.


Il primo che vi voglio segnalare è Wall-E. E sì, inizio con un "cartone" perché voglio subito far vedere che non vado a pescare roba assurda e pretestuosa, ma anche leggera e accessibile a tutti. Delle ragioni per cui includo Wall-E tra i miei film preferiti ever ho già parlato altrove. Questo film d'animazione riesce a mostrare in modo convincente molti temi tipici della sf: il collasso ambientale, l'astronave generazionale, la deriva evolutiva dell'uomo, la ricerca della Terra, l'intelligenza artificiale, e così via. Il tutto con toni abbastanza leggeri, momenti di grande intensità (uno dei pochi film che mi hanno fatto piangere, seriously) e una trama ben sviluppata in tutti i suoi aspetti. Un piccolo capolavoro, e dico "piccolo" solo perché in quanto animazione è considerato di categoria inferiore rispetto al cinema serio (tipo i sopracitati Vanzina, presente?).


Seconda proposta è quello che considero da anni il mio film preferito di sempre. Eternal Sunshine of the Spotless Mind, film scritto da Charlie Kaufman (di cui ho già parlato) e diretto da Michel Gondry, con Jim Carreye e Kate Winslet, che potreste conoscere con la sciagurata trasposizione italiana Se mi lasci ti cancello. Aspe', ma questa non è mica fantascienza, inizia a berciare qualcuno, e mi tocca bacchettarlo sulle nocche. Una tecnologia che permette di rimuovere artificialmente i ricordi, sfruttandone il nucleo emotivo sottostante e cancellando così dalla memoria gli amori travagliati: se non vi sembra fantascienza avete un concetto distorto (o quantomeno limitato) della parola. La storia si svolge principalmente "nella testa" del protagonista e questo permette di mettere in scena spettacolari effetti scenografici (penso alle transizioni tra alcune sequenze, alla versione infantile di Joel, alla casa in rovina) mai fini a se stessi. Questo è un film equilibrato sotto ogni punto di vista: regia, recitazione, musica, perfino le luci! Ma ok, sono di parte...


Rimanendo nel campo dei film "sentimentali", un'altra visione interessantissima è Her, che forse in italiano si chiama Lei. Per una recensione completa rimando al post da me pubblicato per Il futuro è tornato, la ragione per cui lo consiglio è che si tratta di un film molto più profondo di quanto si potrebbe pensare a prima vista, non basta riassumerlo come "un uomo si innamora di un computer", perché le implicazioni di questa banale frase sono estremamente complesse. Forse è un film lento, riflessivo, ma io non ho avuto un attimo di noia. Sarebbe preferibile vederlo in lingua originale, perché la voce di Scarlett Johanson conferisce sfaccettature completamente diverse al personaggio (che non avendo un corpo si esprime solo tramite la voce).


Al quarto posto metto un film che forse in molti hanno già visto, ma se così non fosse occorre rimediare subito. The Prestige, probabilmente tra i migliori film di Christopher Nolan (sì, meglio di Interstellar) basato su un romanzo di Christopher Priest, in cui due prestigiatori (Hugh Jackman e Christian Bale) degli inizi del 900 si sfidano in una crescente corsa alle armi verso il trucco più spettacolare, in una rivalità che si rivelerà piuttosto pericolosa. Dice, ma che c'entra la fantascienza se è ambientato all'inizio del 900? Non posso rispondere direttamente per rischio spoiler, ma un particolare determinante per la trama fa perno su un'invenzione fantascientifica, e poi basta che faccia presente che nel film c'è anche Nikola Tesla (interpretato da David Bowie) per far capire da che parte si va.


Infine torno a un tono più leggero, e segnalo La fine del mondo, ultimo film della "Trilogia del Cornetto" di Edgar Wright, interpretati dalla coppia Simon Pegg/Nick Frost. Dopo il poliziesco e lo zombie movie, in questo film si riprendono i cliché tipici del film fantascientifico, un'invasione in stile Ultracorpi in cui si trovano coinvolti i protagonisti, la combriccola di ex amichetti riunita dopo decenni per ricordare i tempi che furono. È ovvio che si tratta essenzialmente di una commedia, ma non c'è niente di banale in questo film, e le scene d'azione sono estremamente convincenti. Ma anche di questo ho già parlato, quindi leggete qui.




Direi che vi ho dato di che intrattenervi. Se dopo aver visto questi, non siete ancora in grado di riconoscere la (buona) fantascienza cinematografica, il problema è solo vostro. Io ho fatto quello che potevo.

Libri da regalare a Natale per fare bella figura

Ok, mancano due settimane e dovete ancora prendere i regali per persone a cui nel corso degli anni avete già regalato di tutto, dalle pinze per gli spaghetti ai fermagli magnetici per le tende, e alla fine vi riducete a dover ripiegare sul classico libro, piccolo, maneggevole, facile da impachettare. Ora, ci sono molte buone ragioni per cui non dovreste regalare un libro, ma se alla fine ci cascate dentro comunque, perché non pensare a un libro che vi faccia fare bella figura?

'spetta, non ho detto un un libro bello, un libro importante, un libro memorabile. Tanto lo sapete già che con ogni probabilità il destinatario del regalo non lo leggerà mai. Quindi non è di contenuto e qualità che stiamo parlando, ma solo dell'impressione che donare questo specifico volume vi farà fare. Perché il libro ha sempre quel ruolo romantico di "mezzo di cultura", quindi se oltre al titolo riuscite a fornire anche un contesto credibile, potete sperare di fare un figurone (e passare pure per gente di un certo livello).

Disclaimer 1: quello che segue potreste considerarlo un post promozionale, tuttavia non sto promuovendo roba mia quindi non è uno spam elegantemente mascherato, e nemmeno una marchetta perché non ho niente da ricavare dalle vendite di questi titoli. Disclaimer 2: la roba che sto per consigliare non l'ho letta, quindi non vi so dire com'è, potrebbe essere na schifezza immane, ma ho già spiegato che non è questo il punto, no? Controdisclaimer: allo stesso tempo, solo per il fatto che si tratti di roba studiata per fare bella figura, non vuol dire che non possano anche essere libri effettivamente buoni.

Il primo titolo che vi voglio proporre è forse l'unico di cui conoscete l'autore: avrete sicuramente sentito parlare anche per caso di JJ Abrams, l'auotre/regista a cui si devono Lost, Cloverfield i due più recenti film di Star Trek e presto anche la nuova trilogia di Star Wars. Ora JJ ha pensato questo libro e a quel che ho capito l'ha fatto scrivere a Doug Borst (che non so chi sia, ma il nome che conta tanto è il primo), e pare sia una cosa metanarrativa da perderci il capo dietro, e già dal titolo si capisce: S. La nave di Teseo. È strutturato come un testo riempito dalle annotazioni di due lettori successivi, quindi la lettura stessa non è semplicemente come un libro qualunque. Ora, se c'è una cosa che Abrams è bravo a fare è vendere bene la propria immagine, più o meno tutte le sue opere sono state gonfiate da un hype pazzesco, quando il prodotto finale risulta quantomeno controverso. Quindi probabilmente anche in questo caso è così, ma di certo con questo libro riuscirete a sorprendere il malcapitato. E visto che costa sui 30 €, non dovete nemmeno sentirvi in colpa perché avete fatto un regalo "troppo piccolo".


Secondo suggerimento è qualcosa di completamente diverso, direi quasi opposto. L'autore è Gianni Greco, meglio noto nel suo ambiente come "il G". E il suo ambiente è la Toscana, perché il G è stato per oltre vent'anni un popolarissimo conduttore radiofonico, noto soprattutto per il Sondazzo, una trasmissione di "scherzi telefonici" (metto le virgolette perché ci sarebbe molto da dire in proposito, ma non è questa la sede), il tutto vent'anni prima dei vari Mamuccari, Zoo 105, tutto rigorosamente in diretta, no preparato, spontaneo, creativo, eccetera. Il G ha già pubblicato in passato alcuni libri, da Il Sondazzo a Io sono il mostro (una raccolta di 33 microracconti che spaziano da horror a thriller a sf), fino al fumetto Le avventure di Aria e G. Poche settimane fa è uscito invece La banda del sondazzo, un romanzo in cui le storie di alcuni dei suoi personaggi più famosi si intrecciano per affrontare il pericoloso Matto Ranza. Come sempre con questo personaggio il tono è goliardico, dissacrante, anche sboccato, con un neanche tanto velato intento satirico (vi ricorda nulla il nome dell'antagonista?). Questo è un libro che può colpire per la sua imprevidbilità, e proviene da un personaggio che si è sempre distinto per la sua avversione alle convenzioni. Se poi siete toscani, e conoscete qualcuno cresciuto "a pane e G" (come lo sono stato io), l'idea è vincente. Se anche il libro non vi sembra la scelta migliore (forse non è l'oggetto da regalare alla vostra vecchia zia Filomena, ecco), vale la pena che vi facciate una ricerchina su google per scoprire qualcosa di questo personaggio. Forse un giorno ve ne parlerò anch'io, se fate i bravi.


Proseguiamo con suggerimenti di autori nostrani: mi va di ricordarvi anche il catalogo della Factory Editoriale I Sognatori, senza menzionare un libro specifico (ho detto che non era un autopromo, quindi non vi sto a consigliare Spore) ma le varie pubblicazioni che da un anno a questa parte sono venute fuori: una quindicina di titoli variegati e adatti a qualunque tipo di lettore potenziale. Mi sento di consigliare i loro libri non per semplice campanilismo (beh, chiaro, è la mia squadra quindi faccio il tifo), ma perché ci sono un paio di fattori che vi permettono di fare un gran figurone: prima di tutto, credo si possa dire che la Factory sfoggia probabilmente le migliori copertine riscontrabili al suo livello di microeditoria, e anzi, batte anche molte delle case editrici di dimensioni medio-grandi. Gli autori sono tutti italiani e tutti "emergenti", quindi potete spacciarvi come mecenati del nuovo rinascimenti letterario italiano. Infine, la mission stessa della Factory è innovativa e finora unica almeno in Italia (ma probabilmente non ce ne sono di simli in molti altri Paesi). Quindi potete anche bullarvi di sostenere un progetto di grande spessore e impostare una mezzora di chiacchiere su come sia importante rinnovare il sistema malato dell'editoria italiana e blablabla. Da menzionare anche che fino a fine anno molti titoli in catalogo (esclusi quelli più recenti) sono in sconto, quindi allo stesso prezzo di JJ Abrams qui sopra, ci comprate 4-5 libri diversi. E sul sito trovate pure le anteprime gratuite in pdf (metà libro circa), quindi che altro volete, che ve lo consegni direttamente Babbo Natale?


Però lo so che ci sono anche quelli di voi che pensano che il libro di carta è obsoleto, digital is the way, e poi avete comprato il Galaxy Tab e per qualcosa lo dovrete pure usare, a parte Cut the Rope 2. Allora, qualcuno là fuori ha pensato a un modo di reglare libri elettronici, che non avendo una natura materiale si riescono difficilmente a lasciare sotto l'albero. Ecco quindi che la Delos ha messo in vendita per il periodo natalizio tre USB card caricate con 50 titoli in versione epub, mobi e pdf. Le tre varianti sono la Sci-fi Card (ebook di fantascienza), Senza sfumature (erotico) e Sherlockiana (gialli con Sherlock Holmes). C'è quindi modo di soddisfare nerd, pervertiti e nonni. Chiaramente la card una volta scaricati gli ebook può essere usate anche come una normale chiavetta USB quindi non è usa e getta, ma potete tenerla per altri usi. Questa è stata sicuramente un'idea azzeccata, e se vi stuzzica fate in fretta perché le scorte sono in numero limitato.

Coppi Night 07/12/14 - Il labirinto del fauno

Inizialmente credevo che questo titolo corrispondesse alla trasposizione italiana di Labyrinth, per quello sono rimasto un po' spiazzato notando che era un film spagnolo e non si vedeva David Bowie nei titoli di testa. Passato lo smarrimento mi sono quindi disposto a seguire una storia che si preannunciava impegnativa, visto che si capisce da subito che la protagonista è una ragazzina fissata con le fiabe, e se c'è un PoV che mi irrita è quello dei ragazzini (peggio dei bambini, con la loro supposta complessità-di-persona-che-sta-crescendo). Comunque, la storia che scorre in parallelo tra il mondo fantasy e quello reale aveva un potenziale interessante, quindi proviamo a dargli retta e vediamo dove va.

La componente fantastica del film si riduce all'incontro con una fata che conduce la protagonista nel labirinto eponimo, dove il fauno eponimo, riconoscendola come la Principessa scomparsa del Regno, le affida tre quest per provare la sua natura. Il loot di ogni quest serve a procedere nella successiva, di livello di difficoltà crescente (si presume che abbia guadagnato anche un certo livello di XP). Nel frattempo nel mondo reale la madre della bimba si è trasferita dal suo nuovo marito, un capitano franchista stazionato in un bosco in mezzo alle montagne a combattere alcuni gruppi di partigiani locali. Cosa che non incide minimamente sulle azioni della protagonista, che se ne va in giro a far esplodere rospi e mangiare uva... pare in effetti che nessuno si accorga che passa intere giornate fuori dalla cascina in cui dovrebbe stare ad assistere la madre in fin di vita e il nascituro fratellino. Alla fine della storia non si capisce se il mondo fantastico esisteva davvero o era tutta una fantasia della ragazzina, vuoi per desiderio di evasione, suggestione e così via. Alcuni elementi portano a propendere per una direzione (il capitano che non vede il fauno, la visione che termina nel momento in cui lei muore), altri nell'altra (la mandragola sotto il letto, la porta magica usata per uscire dalla camera chiusa): non è del tutto chiaro, e forse non deve esserlo. Insomma, non è il tipo di film in cui la coerenza è da ricercare in ogni aspetto, e questo ci può anche stare.

Quello che secondo me non funziona, è che i ruoli sono fin troppo definiti e la morale che sta sotto a tutto questo mi sembra alquanto superficiale. Abbiamo la mamma disperata e morente, il capitano che è un cattivo-super-cattivo che ammazza e tortura e tratta di merda tutti (appena conosciuta la bambina, le stritola una mano), la collaborazionista coraggiosa e integra, i partigiani allegri e determinati. Il film si trascina un sottinteso politico (forse dato quasi per scontato) secondo cui franchisti = cattivi, partigiani = buoni, così quando sono i primi a sparare e uccidere è un atto brutale, quando lo fanno gli altri è un atto di liberazione. Ecco, insomma, per un film che forse ha un intento didascalico/educativo (credo che tutto sommato il target sia abbastanza giovane) mi sembra una distinzione artificiosa e approssimativa. Tanto più che proprio la ragazzina si rifiuta di uccidere un innocente quando le viene richiesto, ma poi nessuno alza un sopracciglio quando vengono sterminati soldati a decine. Quindi anche se è da apprezzare il tentativo di affiancare la storia fantasy a qualcosa di storico, forse il fatto di volerlo collocare nell'ambito della dittatura spagnola tende ad appiattire il tutto, perché la storia si sviluppa in un contesto in cui per forza di cose si è tenuti a dire che il bene sta da una parte e il male dall'altra, e ciao ciao a qualunque tipo di sviluppo più profondo del livello di Might and Magic.

Dal libro al film: All You Zombies / Predestination

Non capita spesso, ma a volte scopri per caso delle cose di cui non sapevi nulla, e non solo rimani momentaneamente esaltato, ma poi ti sorprendi anche perché sono cose buone, sono come te le saresti immaginate e forse anche meglio di così. È successa una cosa del genere pochi giorni fa, quando ho scoperto l'origine della sigla di Futurama, ed è andata in modo simile con il film Predestination, adattamento cinematografico del racconto di Heinlein All You Zombies.

Ma facciamo un passo alla volta. Prima di tutto piazzo il disclaimer spoiler, anche se cercherò di affrontare questa similrecensione partendo dal presupposto che si conosca già il racconto (che poi è la situazione dalla quale sono partito io). Se quindi non conoscete nemmeno quello, allora forse è meglio rimandare questo post a quando vi siete aggiornati.
 
Prima di iniziare torno indietro dal futuro (anno 2020) per segnalare che ho fatto un'approfondita analisi della struttura narrativa di questo film sul mio nuovo canale youtube STORY DOCTOR, inserisco quindi il video che riprende alcuni degli argomenti presenti anche nel seguito del post.



All You Zombies è un racconto di Robert Anson Heinlein pubblicato nel 1959. In italiano lo si trova in diverse antologie (sia di Heinlein sia multiautore) con i titoli Tutti i miei fantasmi o Tutti voi zombie. È un racconto piuttosto breve, che narra la storia eccezionale di una persona che grazie al proficuo uso di viaggio nel tempo e chirurgia invasiva, finisce per essere padre e madre di se stesso. Può sembrare impossibile, ma Heinlein era sveglio e ha trovato il sistema: una bambina nasce nel 1945, appena diciottenenne viene messa incinta da un uomo che poi sparisce, dopo il parto cambia sesso e diventa uomo, sua figlia viene portata indietro nel tempo al 1945, mentre la sua versione maschile viaggia invece indietro per poterla impregnare. Ecco la Trinità del Paradosso: padre, madre e figlio sono tutti la stessa persona. Tecnicamente possibile, ammettendo la possibilità di viaggiare nel tempo. Il candidato risolva per esercizio il problema dal punto di vista genetico: se un DNA si accoppia sessualmente con lo stesso DNA, il risulato è lo stesso DNA?

Il racconto mi è sempre piaciuto, perché è davvero geniale, e credo che Heinlein con questa pubblicazione si sia per sempre aggiudicato il primato come inventore del Paradosso Definitivo. Peraltro lo trovate anche online, se volete leggerlo (chiaramente in inglese). Il titolo deriva da una frase conclusiva del racconto:
I know where I come from. But where do all you zombies come from?
Con questa domanda il protagonista vuole evidenziare come lui sia l'unico a conoscere davvero le proprie origini, mentre tutti gli altri, tutti noi zombie, camminiano su questa Terra ignari della ragione per cui esistiamo. È un'idea molto forte, e chiude efficacemente un racconto che rimane bene impresso.

La cosa che non mi sarei mai aspettato è che nel 2014, a cinquantacinque anni dalla pubblicazione del racconto, qualcuno decidesse di trarne un film. E anche quando l'ho scoperto (poche settimane fa) sono rimasto alquanto scettico: sappiamo bene come il cinema abbia la capacità di prendere le idee più straordinarie e appiattirle per assecondare le presunte esigenze del mercato dell'intrattenimento. Quindi è stato puramente per curiosità che ho voluto guardare questo film, ma una volta visto mi sono dovuto ricredere totalmente.

Predestination è un film uscito pochi mesi fa, scritto e diretto dai fratelli Spierig, noti soprattutto per Daybreakers, film a base di vampiri del 2009. È un adattamento diretto di All You Zombies, e fa quasi strano dirlo, è un adattamento molto fedele. Ciò non è necessariamente un bene, libri e film sono due canali diversi per cui ciò che rende buono un libro non è detto che funzioni anche sullo schermo, ma in genere ci si lamenta sempre che i film non rispettino la carta da cui sono tratti: questo è uno dei rari casi in cui invece è proprio così. Anzi, a dirla tutta Predestination forse ha anche qualcosa in più.

I protagonisti sono Ethan Hawke (che aveva già lavorato con gli Spierig proprio in Daybreakers), che interpreta l'agente del Temporal Bureau che contatta John/Jane negli anni 70 proponendogli/le di entrare nella Polizia Temporale, e Sarah Snook, giovane attrice a cui è affidato il difficile ruolo di interpretare sia un personaggio maschile che femminile. Da questo punto di vista bisogna riconoscere che sia la Snook sia il reparto trucco del film hanno fatto un ottimo lavoro: io non sono un gran fisionomista (ok, quasi per nulla), ma la differenza tra Jane e John, che sono la stessa persona in versione femmina e maschio, è molto convincente. Nelle scene in cui i due sono presenti insieme, e si può effettuare un confronto diretto, la cosa è sorprendente: è vero che John ha un aspetto androgino, ma questo ha comunque senso anche all'interno della storia. Se la preoccupazione era quindi che il cambio di sesso e il bisticcio di salti temporali potesse essere banalizzato, il pericolo è stato scampato.

Dicevo che nel film c'è qualcosa di più, e lo intendo in più sensi. C'è intanto qualche elemento aggiunto a livello di trama: in particolare, c'è la caccia a un terrorista, il Fizzle Bomber, che la Polizia Temporale (e il protagonista in particolare) stanno cercando di catturare prima che possa compiere l'attentato distruttivo a New York nel marzo 1975. Questo non era presente nel racconto, ma qui riesce a dare una visione più completa di che quale sia il lavoro del Temporal Bureau: se è chiaro che il viaggio nel tempo è un presupposto essenziale per generare il paradosso, c'è bisogno comunque di giustificarne l'utilizzo, e con il Fizzle Bomber la questione risulta più chiara. Heinlein non si preoccupava di dare uno scopo preciso al TB, limitandosi ad asserirne l'esistenza (in realtà in altri racconti seguenti citerà di nuovo la Polizia Temporale, che si presume essere la stessa organizzazione).

Ma non è solo questo il valore aggiunto del film. Di nuovo, il gioco di Heinlein in All You Zombies era semplicemente quello di mettere in scena la situazione che potesse portare al padre/madre/figlio nella stessa persona, senza preoccuparsi di approfondire o contestualizzare più di tanto. Ma in Predestination, seguendo la piccola Jane fin dalla nascita, vedendo i suoi drammi iniziati dall'infanzia, fino al trauma della gravidanza, la perdita della figlia e il cambio forzato di sesso, per poi apprendere che è lei stessa ad essersi causata questa situazione, la storia assume una profondità tutta diversa. Ci sono un paio di scene molto intense, una ad esempio è quella in cui poco dopo l'operazione Jane (ormai diventata John) prova a dare alla sua voce un timbro più maschile: Hi, nice to meet you. It's a lovely day. My name is... my name is Jane. Anche l'incontro tra Jane e John è reso in maniera eccellente, e qui molto del merito va sicuramente a Sarah Snook che interpreta entrambi (una ragazza giovane che non ha mai avuto una relazione, e un uomo che è stato quella ragazza e sa già come le cose andranno). Ecco quindi che la storia non è semplicemente un puzzle da risolvere, un gioco di incastri che porta lo spettatore al wtf moment, ma un apologo ben più strutturato che tocca temi complessi. L'identità, innanzitutto, ma diversamente da quanto si potrebbe pensare non si parla solamente di identità sessuale: Jane ha avuto difficoltà a capire se stessa ben prima di cambiare sesso, e solo alla fine la situazione si ribalta, quando sono gli altri a diventare gli zombie. C'è poi la libertà di scelta, e la predestinazione (ovviamente): John lo chiede anche all'agente (Do I have a choice?) e lui le risponde che la scelta esiste sempre. Ma è davvero così? Nemmeno l'agente ne è tanto sicuro, perché in seguito chiederà al suo superiore (Noah Taylor): And what happens when the day comes when i have no knowledge of my future? Conoscere il futuro, il proprio destino, ci aiuterebbe davvero a compiere scelte migliori? Infine c'è la percezione e il confronto con se stessi, che mai come in questo caso diventa letterale: è possibile cambiare così tanto da essere una persona diversa, si potrebbe mai amare se stessi, al punto da essere completamente persi una volta rimasti soli (cioè, soli senza di sé)?


Tutti questi approfondimenti non erano presenti in All You Zombies, ma sono invece nel film, e questo rende Predestination un prodotto di ottimo livello, al di là della sua origine letteraria. C'è anche da riconoscere che oltre alla fedeltà della trama, ci sono molti altri particolari e dettagli che si riferiscono direttamente al racconto: oltre alla presenza di un dottor Heinlein, troviamo gli stessi "comandamenti" del TB, la citazione della frase riferita a tutti voi zombie, e perfino la battuta finale che chiuda l'opera è la stessa. Considerato tutto questo, mi sento quasi di dire che Predestination sia uno dei rarissimi casi (me ne vengono in mente giusto due) in cui il film è meglio del libro!

Sarebbe bello che Predestination arrivasse anche in Italia, tuttavia ho il timore che possa invece andare ad allargare le file dei film che non vedrete mai: troppo di nicchia, e troppo acuto anche se presentato come un thriller sci-fi. E il fatto che sia tratto da un racconto di R.A. Heinlein, qui da noi, non è certo una raccomandazione efficace.

The Futurama-Prada-Henry Connection

Breve post frivolo per stemperare la seriosità degli ultimi temi affrontati, e anche per far presente che anche se Futurama è finita (di nuovo), questo non significa che abbia smesso di parlarne qui sopra.

Procediamo con ordine. Come potete ben immaginare la mia ossessione per Futurama  non riguarda solo lo show in sé ma anche tutto quanto ne è più o meno direttamente collegato, tant'è che la mia attuale suoneria del telefono è proprio l'opening theme degli episodi. Non credo che ci sia bisogno di farvelo presente, ma giusto per completezza, sto parlando di questo:


Questo pezzo, composto da Christopjer Tyng come tutte la musica della serie, presenta numerose varianti e versioni estese, lo stesso opening è in realtà una versione editata di una più lunga. Ecco quindi che quando un paio di sere fa, guardando la tv, mi sono trovato davanti lo spot di un profumo, anche se non stavo in quel momento prestando attenzione, mi si sono immediatamente drizzate le orecchie. La pubblicità di cui parlo è questa:


Ora, non so se ho io l'orecchio tanto allenato a riconoscere i remix, ma appena l'ho sentita ho colto subito la connessione con la sigla di Futurama. Una versione che non conoscevo, forse? Ho resistito lo spazio di dieci minuti prima di andare a cercare su internet quella stessa pubblicità, e ringrazio il signore che esista oggi uno strumento che ti permette di fare le domande più stupide e ottenere risposta, perché c'è sempre qualcuno più stupido di te che quelle domande se le è fatte prima, e ho scoperto che la canzone di sottofondo dello spot non è un remix del tema di Futurama.

Tutt'altro! Il pezzo è Psyché Rock di Pierre Henry, compositore francese che dagli anni 50 in poi è stato tra quelli che hanno sviluppato la musica concreta, una corrente che ha influenzato e plasmato il successivo sviluppo della musica elettronica. Nel 1967 Henry ha pubblicato l'album Messe pour le temps présent, che conteneva proprio questa traccia. Ed è stata una sorpresa scoprire che l'affinità non è casuale, ma che Tying si è proprio ispirato a Henry per comporre la sigla di Futurama. Beh, "ispirato" forse è un eufemismo, perché si può parlare in pratica di una versione alternativa, un riarrangiamento, un remix, chiamatelo come volete. Non un plagio, perché l'origine è dichiarata, ed ero stato io troppo ottuso da non chiedermi prima quale fosse l'origine della sigla. E anzi, guardando il video si colgono anche una serie di influenze più profonde anche a livello di estetica e temi. Quindi non si può pensare che la scelta del team di Futurama sia stata casuale.
 
Ecco il pezzo originale, che ha quasi cinquant'anni, e che continueremo a sentire fino al prossimo millennio!



Rapporto letture - Novembre 2014

Novembre è stato un mese abbastanza variegato, sono riuscito a leggere 5 libri diversi differenziando abbastanza in quanto a generi, forme, nazionalità e supporti. In realtà non ho avuto sorprese rivelazioni eccezionali, anzi, ho sbattuto il muso un paio di volte, ma mica si può sempre leggere dei capolavori, d'altra parte basta tornare al mese scorso e... no, vabbè, lasciamo perdere.


Il primo libro terminato è Lo specchio di Dio, aka Jesus Video, dell'autore tedesco Andreas Eschbach. Di Eschbach avevo letto Miliardi di tappeti di capelli rimanendone moderatamente affascinato (credo sia un libro che ha avuto un certo riscontro anche oltre l'ambiente fantascientifico). Convinto da quest'opera ho voluto provare altro dello stesso autore, e ho scelto Jesus Video perché l'idea di base mi affascinava: durante scavi archeologici in Israele, viene ritrovata una videocamera sepolta in una tomba di 2000 anni fa... proprio l'epoca di Cristo! Si parte quindi da un assunto interessante, e mi aspettavo quindi una gustosa commistione tra religione e viaggi nel tempo (pensavo a qualche sviluppo tipo il viaggiatore futuro diventa Gesù, cosa già vista diverse volte, ma ero pronto a concedere il beneficio del dubbio). E invece sono rimasto piuttosto spiazzato, perché mi sono trovato di fronte a una specie di Codice Da Vinci, con fazioni in corsa per accaparrarsi la reliquia e il presunto potere/valore che essa contiene. Decine di personaggi che si intrecciano (ho avuto qualche difficoltà a individuare il vero protagonista), ipotesi che si accavallano e si perdono, e alla fine la cosa meno importante di tutte è proprio questo video di Gesù, perché riveste il ruolo passivo di "oggetto che tutti voglioni", e se invece di una registrazione di un viaggiatore nel tempo fosse stato uno dei trenta denari di Giuda non sarebbe cambiato niente. Peraltro quando, nel lungo epilogo, si scopre cosa contiene il video, non si riesce a capire bene se si tratti di qualcosa di autentico o una bufala, e tutto rimane molto vago. In definitiva sono rimasto abbastanza deluso, ma forse perché mi aspettavo tutt'altro tipo di storia. Forse come "caccia al tesoro" non è male, ma non è quello che cercavo io quindi non mi è piaciuto molto. Voto: 5/10



Secondo libro del mese è stato Il sole dei soli, secondo titolo pubblicato da Zona 42 dopo Desolation Road. Anche questo si può considerare in estrema analisi un'avventura, ma qui il contesto è ben diverso: la storia di Karl Schroeder (uno degli "autori emergenti" più interessanti della fantascienza contemporanea) si svolge in n futuro imprecisato, all'interno di Virga, un'enorme sfera cava di dimensioni planetarie in cui vivono milioni di persone, in un delicato equilibrio tra gravità, luce, calore e formazioni di volo. La storia segue alcuni personaggi principali che si imbarcano per una missione proprio sul "sole dei soli" da cui deriva tutta l'energia di Virga. Ognuno dei protagonisti è mosso da motivazioni diverse, che si intersecano in una serie di progetti, vendette, rivelazioni. Il libro abbonda di esplorazioni, battaglie, fughe e complotti, ed è estremamente avvincente vedere questa trama avventura calata in un'ambientazione così particolare. Devo ammettere che ho avuto alcune difficoltà a figurarmi l'ambiente di Virga, in particolare per quanto riguarda grandezze e distanze all'interno del volume della sfera, ma la storia riesce a essere godibile anche senza comprenderne appieno tutti i particolari più "tecnici" (che comunque sono molto interessanti). L'unico aspetto negativo è che il libro non è autoconclusivo, infatti è il primo di una serie di cinque, che se tutto va bene verranno in seguito pubblicati sempre da Zona 42. Voto: 7/10


Breve intermezzo con un ebook della serie Vaporteppa: L1L0 di Pippo Abrami, un racconto steampunk in cui un robot dall'inequivocabile aspetto di coniglio viene costruito da uno scienziato con la missione di salvare sua figlia. La storia è narrata interamente dalla prospettiva di L1L0 ed è probabilmente questo a renderla divertente e scorrevole, vista l'indole sarcastica del robot, che deve in qualche modo far combaciare i propositi dei suoi tre cervelli di scimmia. In realtà al di là di questo c'è poco altro da dire, la lettura è piacevole ma non colpisce particolarmente per originalità o profondità, si merita quindi la sufficienza ma una volta concluso si dimentica in fretta. Sarebbe probabilmente un buon soggetto per successive avventure. Voto: 6/10


Passo poi a un collega di Factory, Filippo Bernardeschi con la raccolta di racconti L'ultima consegna. Devo premettere che questo probabilmente non è un genere a me estremamente affine: ci si muove tra realismo magico e mistero, fino al semplice racconto "intmista". In buona parte delle storie non è tanto la trama ad essere il cardine del racconto, quanto una serie di atmosfere e impressioni, dettagli apparentemente insignificanti su cui l'autore cerca di focalizzare l'attenzione. In questo modo storie di "vita ordinaria" vengono sconvolte da un cambio di prospettiva dovuto alla presenza di elementi estranei, a volte surreali o soprannaturali, a volte semplicemente imprevedibili. Lo stile è forte ed evocativo, e riesce a suscitare potenti suggestioni, sia a livello visivo che emotivo, spesso al limite tra mondo reale e onirico. È quindi una raccolta di sicuro interesse, che forse non riesco ad apprezzare in pieno per mia predisposizione a stili e contenuti diversi. Voto: 7/10


Infine ho voluto concludere la saga di Odissea nello Spazio, leggendo 3001: Odissea finale, quarto e ultimo libro della serie iniziata negli anni 70 da Arthur C. Clarke. Se già 2061 mi era sembrato fiacco, più votato alla speculazione scienfica che allo sviluppo della trama, questo libro ha tradito le mie aspettative, ignorando quasi completamente la "mitologia" introdotta con 2001 e anche il successivo 2010, e concentrandosi soprattutto a descrivere il livello socio-tecnologico della società umana del quarto millennio. Nonostante l'inizio sia estremamente intrigante, con il ritrovamento e la rianimazione di Frank Poole (l'astronauta che era stato ucciso da HAL in 2001), il collegamento con i capitoli precedenti è minimo e quasi secondario, e la soluzione individuata dall'umanità decisamente anticlimatica, in grado di demolire in un solo capitolo tutto il potere evocativo del Monolito. Mi aspettavo davvero molto di più, perché a questo punto si può dire che il mistero delle entità che hanno sorvegliato e guidato l'evoluzione umana non viene spiegato. Voto: 5/10



Nota di servizio: il recente aggiornamento dell'interfaccia di aNobii mi ha reso impossibile inserire le immagini linkate alle relative schede da me commentate (non so se la funzione "blogga oggetto" sia stata del tutto rimossa o sono io che non la trovo), quindi ho ripreso soltanto le copertine. In ogni caso sulla mia pagina si trovano come sempre tutte le informazioni sulle letture dal 2008 a oggi.

Coppi Night 30/11/2014 - Asso

Mio malgrado ho una certa cultura delle commedie erototrash che sono state la massima espressione del cinema italiano negli anni 70-80. Tutte le volte che all'interno del Coppi Club vince un film del genere mi dico "dai, fuori uno, non ne rimarrà molti altri..." e invece tre settimane dopo ci risiamo, e io muoio un po' dentro. Che poi, non che io sia contrario in assoluto al trash e al demenziale, anzi, ci sono alcuni film di cui posso ritenermi nel complesso soddisfatto. In altri casi però la visione è una tortura, e questo è stato uno dei peggiori. Proverò a spiegare in tutta calma perché, anche se non garantisco che a metà post inizierò a battere la tastiera nel muro.

Nei film "di Celentano", lui è il protagonista che ricopre ogni volta un ruolo diverso, interpretando personaggi piuttosto schematici che però hanno un loro senso in questo tipo di storie. Tipicamente il protagonista vive in un mondo suo, poi conosce una donna, ne rimane sconvolto, la rincorre, alla fine la conquista, e viva tutti. Il tutto inframezzato da gag varie, che in certi casi non sono nemmeno male, se non fosse che vista una viste tutte. Il problema con Asso è che il film prende presto una direzione del tutto imprevista, ma non imprevista nel senso buono, di originale e intrigante, bensì imprevista nel senso cattivo, cioè casuale e incoerente. Succede infatti che dopo forse venti minuti di film, Asso, formidabile giocatore d'azzardo, viene ucciso. Poi lo si vede rientrare a casa, da una Edwige Fenech insolitamente pudica (si riesce a scorgere solo un capezzolo in tutto il film), e allora si pensa "ah, vabbè, non era morto davvero, era un bluff pure quello!" E invece no: è morto morto, e quello che è tornato a casa è un fantasma. Da quel momento in poi del fatto che Asso fosse il migliore giocatore di poker del mondo non ci interessa più, perché è morto e la sua unica preoccupazione è trovare un nuovo marito che possa mantenere la mogliettina, sia mai che le venga in mente di lavorare (di fatti ostacola il suo provino per entrare nel corpo di ballo di un teatro). Ma le femministe nel 1981 erano già estinte?

Si potrebbe anche stare ad analizzare la completa illogicità delle doti "soprannaturali" di Asso, perché una volta è invisibile, poco dopo i mortali vedono i suoi vestiti librarsi nell'aria, prima ha difficoltà a passare attraverso una porta chiusa, poi si teletrasporta da una parte all'altra, a volte viene percepito e udito dai viventi, altre urla e nessuno lo sente. Ma tutto questo non è niente in confronto al fatto che di "Asso" non vediamo nulla, perché la sua avventura ultraterrena non ha niente a che vedere con il gioco d'azzardo, e se fosse stato un idraulico non sarebbe cambiato molto. E la linea di difesa "vabbè, almeno fa ridere" non regge, perché, santiddio, no, non fa ridere. È prima di ogni altra cosa noioso (tant'è che mi sono addormentato proprio durante la fase cruciale, quindi non so alla fine con chi si è risposata la Fenech).

Nove anni dopo in milioni avrebbero pianto vedendo Patrick Swayze e Demi Moore in Ghost, e forse Asso si può considerare il suo padre ideale, visto che alcuni risvolti della trama sono simili: il fantasma che può essere visto solo da qualcuno, l'impegno a mettere al sicuro la moglie, la vendetta nei confronti dell'assassino; e soprattutto che anche qui si piange tanto. Di frustrazione.

Il prezzo delle parole

Intervengo per dire la mia su un dibattito che sta animando in queste settimane la blogsfera e i social network, almeno quella parte che frequento io. La cosa è nata dalla disavventura di un'autrice self americana (una delle poche che campa davvero di selfpublishing), che si è vista restituire un libro pagato pochi dollari da un lettore inferocito che lamentava che fosse troppo costoso, nonostante a suo stesso dire il migliore mai letto (non ho voglia di mettervi link, cercatevelo). Poi (forse collegato a questo fatto, forse no) è esplosa una feroce polemica su un gruppo facebook dedicato ad e-book e self publishing, nato da l'osservazione di un membro che faceva notare che se un romanzo su Amazon si paga 0.99, allora un racconto dovrebbe costare al più la metà.

La questione che ne emerge può essere interessante. Il discorso sarebbe molto lungo, e bisognerebbe partire dalla percezione generalmente condivisa del "lavoro creativo", ma in questa sede concentriamoci solo sulla scrittura, e sul rapporto prettamente monetario tra autori e lettori. Buona parte degli interventi su questo argomento da parte degli autori aveva come punto centrale il fatto che la qualità non si misura con la quantità, che scrivere un buon racconto non è più facile di scrivere un romanzo, e che il tempo e l'impegno profuso nella scrittura devono pur trovare un loro corrispettivo, altrimenti sarebbe meglio regalare. Come io mi collochi su questi aspetti è evidente, se si considerano alcuni miei post precedenti, in particolare in merito alla dignità del racconto e al prezzo di copertina del libro di un esordiente. Questo però è il punto di vista dal lato dell'autore, che posso esprimere pur essendo l'ultimo dei bischeri in questo senso.

Ma il lettore, da parte sua, che cosa vuole? Il lettore per cosa paga?

Mi pare che questo lato della faccenda non sia stato affrontato da nessuno. E poiché tutti sono (o dovrebbero essere) lettori prima che scrittori, io credo che sia il punto di partenza per qualunque argomentazione.

Se dico, come lettore, che per me un libro di 100 pagine vale il doppio di un libro di 50, allora sto semplicemente valutando le parole al peso: potrei spingermi fino a calcolare il valore di una singola lettera, e quindi per me risulterebbe facile determinare quanto sono disposto a pagare per qualunque opera, mi basta sapere quanto è lunga. Ma questa impostazione nasconde un sottinteso: ovvero che quello per cui io sto pagando è il tempo che impiego a leggere l'opera stessa. Di conseguenza, la lettura per me è semplicemente un modo per trascorrere il tempo, come potrebbero essere una sigaretta o uno yo-yo.

Ma i lettori cercano davvero questo? Indubbiamente c'è qualcuno che non vuole altro, perché buona parte della produzione editoriale è composta di libri che non richiedono alcun "investimento mentale". Ma i lettori attenti, quelli buoni, quelli insomma che ogni autore vorrebbe avere per sé, chiaramente vogliono altro.

Un lettore autentico vuole essere coinvolto, stupito, intrigato, portato a riflettere, sconvolto, preso a sberle. È questo che si cerca in un libro, e non certo la mera sequenza di parole su cui far scorrere gli occhi. Certo la lettura si definisce sempre "passatempo", ma solo nel senso che è un'attività a cui si dedica in genere il tempo "che avanza". Un buon lettore non vuole soltanto leggere qualcosa, ma pretende che questo qualcosa lo smuova, in un modo o nell'altro.

Ecco perché un lettore può essere disposto a pagare un prezzo più alto per un'opera più breve. Ecco perché l'equivalenza tra numero di pagine e prezzo del libro non ha senso: perché non sono le parole che stiamo pagando, ma il loro potere di evocare qualcosa, suscitare emozioni e riflessioni. E questa capacità è ovviamente inquantificabile: non si può determinare il potere di un'opera (di qualsiasi genere, letterario, musicale, visivo) di provocare reazioni intellettive... anche se è evidente che alcune hanno questo potere, altre no.

Questa quindi è la sfida che un autore si trova ad affrontare: convincere i suoi potenziali lettori che il loro tempo è bene investito, e che un'ora spesa a leggerlo abbia più valore dello stesso tempo impiegato a leggere altro.

Film che non vedrete mai: Upstream Color

Intanto vi rassicuro, questo non è diventato un blog a tema vermi, ed è solo una coincidenza se queste bestie sono tema ricorrente di due post consecutivi. In realtà a differenza di quello, il film in questione è piuttosto recente, e di tutt'altro livello. Rientra nella categoria dei film che non vedrete mai perché è improbabile che qualcuno decida mai di doppiarlo, anche se devo riconoscere che finora ho portato fortuna, poiché The Man from Earth ha in effetti avuto una sua traduzione e anche Synecdoche New York è finalmente arrivato in Italia a pochi mesi dal mio post. Quindi potrebbe esserci qualche possibilità che vediate anche questo in futuro, e ve lo auguro.

Iniziamo col contestualizzare: Upstream Color è un film del 2013 scritto e diretto da Shane Carruth. Il nome probabilmente non vi dice niente, a meno che non seguiate le produzioni cinematografiche collocate al di fuori dal mainstream, opere di autori misconosciuti ma con grande potenziale. Carruth ha raggiunto un certo livello di fama con il suo primo film Primer, una storia decisamente atipica di viaggio nel tempo. In realtà anche definirlo in questi termini è superficiale, perché Primer è un film complesso, a molteplici livelli di interpretazione, e se anche il viaggio nel tempo è presente in una forma diversa da quella con cui viene di solito presentato, il tema centrale del film è un altro. Devo anche ammettere che Primer è un film che mi ha richiesto più di una visione per riuscire a comprenderlo, e ancora non sono sicuro di esserci riuscito completamente.

Upstream Color è per certi versi affine al suo primo lavoro. Carruth, che oltre a scrivere e dirigere, interpreta anche un ruolo principale in entrambi, costruisce film fatti di pochi dialoghi ma di molti messaggi non verbali, e se questo già si vedeva in Primer, qui è ancora più accentuato. La cura tecnica del film è evidente e impeccabile, e in questo in particolare c'è un'attenzione elevatissima per la componente sonora, ma di questo parleremo tra poco.

La storia di Upstream Color non è facile da riassumere. Quanto segue è potenzialmente uno spoiler, ma in effetti credo che questo sia uno di quei film che non viene rovinato dal conoscerne lo svolgimento, perché la sequenza degli eventi non è la parte determinante. Pertanto mi sento di dire che potete leggere senza perdere nulla, ma se non volete saltate al prossimo paragrafo, o tornate dopo averlo visto. A parte alcune sequenze iniziali che assumeranno significato solo in seguito, il film inizia con un'aggressione alla protagonista Kris (Amy Seimetz), durante la quale le viene spinto in gola un piccolo verme. La creatura le si annida dentro, e la presenza del parassita la rende estremamente passiva e suggestionabile. L'aggressore ne approfitta per manipolarla in modo da farsi intestare tutti i suoi beni, dopodiché la abbandona così com'è. A questo punto entra in scena un personaggio enigmatico ma fondamentale, chiamato nei titoli di coda "The Sampler", il Campionatore (perché lo vediamo andare in giro a registrare e campionare suoni ambientali per farne poi della musica sperimentale... ma forse non solo per questo). Il Campionatore richiama a sé Kris (sempre con l'uso di particolari suoni) e poi esegue un'operazione di estrazione del parassita, trasferendolo nel corpo di un maiale, che alleva insieme ad altri in una fattoria isolata. La ragazza rientra poi a casa sua, frastornata e ignara di quanto successo, e gradualmente riprende contatto con la sua vita dopo alcune settimane di assenza, scoprendo che qualcosa non va. In seguito conosce Jeff (ecco Shane Carruth), e i due sembrano da subito avere un'affinità inspiegabile. Frequentandosi e condividendo esperienze e ricordi, arrivano a capire che c'è qualcosa che li accomuna: entrambi sono stati vittima del complesso furto eseguito tramite il parassita, ma non è solo questo: la connessione è più profonda, perché i loro "corrispondenti suini" sono a loro volta in contatto. Il collegamento tra uomini e maiali è chiaro ma indefinibile, si manifesta con il passaggio di sensazioni da un'estremità all'altra ma senza una vera presa di coscienza, e ha la sua massima espressioni quando la scrofa-Kris rimane incinta e viene poi privata dei suoi piccoli, prelevati dal Campionatore e gettati nel fiume. In una sequenza successiva apprenderemo che dai corpi in decomposizione dei cuccioli scaturiscono delle spore (scusate la pubblicità occulta) che vengono assorbite attraverso le radici da alcune piante, i cui fiori diventano blu e vengono appositamente raccolti, ed è da questi fiori che si trovano i piccoli bachi usati dal ladro per parassitare le sue vittime: il cerchio si completa, un ciclo vitale composto da più soggetti umani e non: il fiore - il parassita - il ladro - la vittima - il Campionatore - il maiale - le spore - il fiore, e così via. Questo ciclo verrà spezzato proprio da Kris, quando insieme a Jeff inizia a mettere a posto i pezzi di quanto è accaduto, e va in cerca dei suoni composti dal Campionatore, trovando proprio nella sua musica il collegamento mancante per raggiungere la fattoria in cui sono tenuti i maiali.


Dicevo prima che questo film ha molto da dire, ma lo fa senza usare parole. Chiaramente i personaggi parlano, ma i dialoghi sono una parte marginale del film, decisamente inferiori rispetto alle sole immagini e ai suoni. Questo è in effetti un film in cui la componente audio riveste un ruolo centrale, ed è uno degli aspetti che più mi ha colpito, poiché nel cinema è difficile che il suono sia sfruttato in modo completo (anche quando vengono prodotte eccellenti colonne sonore), e pure in questo caso il merito va a Carruth stesso, che ha composto anche la musica che accompagna il film (e di conseguenza anche le campionature). Non a caso il personaggio chiave dell'intera vicenda è proprio questo Campionatore, che passa le sue giornate tra registrare e riarrangiare suoni naturali e allevare i maiali parassitati. In effetti il ruolo del Campionatore non è del tutto chiaro, e non si capisce se la sua parte nel ciclo vitale parassita-fiore sia volontario o incidentale: è indubbiamente lui a permettere al ladro di acquisire i vermi, ma non sappiamo se ne è al corrente. Personalmente ritengo di no, ma la questione può essere interpretata. È anche da segnalare che le altre persone associate ai maiali sono chiamate nei titoli di code "The Sampled", i campionati: un indizio del fatto che il Campionatore non archivia e manovra solo i suoni, ma forse, volontariamente o meno, quelle stesse persone di cui racchiude una parte di coscienza all'interno dei suini. Non sappiamo perché lo faccia, ma è evidente che sa quello che sta facendo.

Ma qual è il senso di Upstream Color? Certo è già interessante il meccanismo del parassita, ed è notevole il dramma delle vittime del ladro, ma il film è troppo intelligente per fermarsi a questo livello superficiale degli eventi. Non è quello che succede a definire il significato dell'opera (e per questo mi preoccupavo relativamente di spoilerarlo), ma come lo spettatore percepisce questa serie di immagini, suoni. Come il verme che collega uomini e maiali in un modo profondo ma intangibile, anche il legame tra l'autore e lo spettatore è labile ma tangibile. C'è un messaggio che viene veicolato, a un livello più basso di quello verbale, quasi suggerito. La mia idea (sicuramente opinabile) è che il film cerchi di affrontare il concetto di identità, la definizione di sé: chi sono i protagonisti, chi sono davvero, nel momento in cui seguono le istruzioni di un ladro mediate da un verme? E quando avvertono le sensazioni di un maiale con il quale condividono un parassita? Il sottile entanglement che esiste tra Campionatore e Campionato, tramite un animale da allevamento in che modo influisce sulle loro vite? C'è una scena che in questo senso ritengo fondamentale, a circa due terzi del film: durante le loro uscite, Kris e Jeff si raccontano storie della loro infanzia, e queste si mescolano, si sovrappongono, al punto che quando uno racconta l'altro afferma che sta raccontando un suo aneddoto, che quella storia appartiene al suo passato e non a quello del compagno. Ecco allora, se il legame tra i due, subdolo e incomprensbile quanto può essere, porta le loro vite a sovrapporsi, che cosa rimane a distinguerli?


Non posso essere sicuro che questo sia davvero quanto Shane Carruth volesse trasmettere. Upstream Color è volutamente (e palesemente) un film aperto a interpretazioni, una storia che non ha un unico punto di vista, e che grazie all'utilizzo di un linguaggio non verbale può facilmente prestarsi a diversi approcci. È probabile che ci siano molti aspetti che non sono stato in grado di cogliere, perché già la seconda visione mi ha aiutato molto a mettere insieme i pezzi. In ogni caso, è sicuro che il film riesce a coinvolgere lo spettatore in modo profondo e trasmettere un messaggio (quale che sia) che raramente giunge così forte nel cinema contemporaneo.