The Witness, o epiphany porn

Tempo fa ho parlato sul blog di Braid, il videogioco puzzle-platform di manipolazione temporale sviluppato da Jonathan Blow e uscito nel 2008. Nonostante un'accoglienza fredda, col tempo Braid si è affermato come uno dei giochi "indie" di maggior successo, abbastanza da poter permettere a Blow di dedicarsi alla creazione di un nuovo gioco. Quel gioco è The Witness, annunciato inizialmente per il 2011 ma uscito alla fine a gennaio 2016. Sette anni di lavoro durante i quali Blow ha messo su un piccolo team di collaboratori e investito circa cinque milioni di dollari (in pratica tutto quanto ricavato da Braid) per poter dichiarere il nuovo gioco pronto. Dopo l'esperienza straordinaria di Braid sapevo già che avrei provato anche questo, e a distanza di qualche mese dall'uscita e dopo settimane di permanenza sull'isola, sono pronto.

The Witness è anch'esso un puzzle game. L'obiettivo del gioco è quello di risolvere una serie di enigmi, tutti basati sulla stessa meccanica: tracciare una linea da un punto di partenza a un punto di uscita su un pannello, soddisfacendo di volta in volta tutti i requisiti del puzzle. Il giocatore si muove con una visuale in prima persona all'interno di una vasta isola in 3D, passando da un ambiente all'altro e imbattendosi nei pannelli da risolvere. Tutto qui. Così semplice che la tagline del gioco è soltanto "Explore an abandoned island". The Witness si può considerare affine certi giochi puzzle-avventura come The Myst e il più recente The Talos Principle. Ma è anche molto di più.

La prima cosa che salta agli occhi giocando The Witness è la cura e ricchezza dell'ambientazione. L'isola è vasta e variegata, suddivisa in aree tra loro contigue ma caratterizzate da diversi biomi: spiaggia, roccia, deserto, giardino, foresta, giungla, palude, montagna, caverne. Ma non tutto è naturale, perché edifici e strutture si trovano praticamente ovunque: ci sono la città, il tempio, il castello, il monastero, il laboratorio, il porto. L'isola è davvero abbandonata, perché non ci sono altri personaggi, non ci sono in effetti tracce di vita esclusa l'abbondante e lussureggiante flora. Ma le costruzioni in cui ci si imbatte di continuo (molte delle quali in rovina) sembrano narrare la soria di un posto abitato per molto tempo e da culture diverse. Gli stessi pannelli su cui compaiono i puzzle sono inseriti coerentemente nell'ambiente, sempre installati sui supporti adeguati, con cavi di alimentazione che corrono da uno all'altro, in modo da far capire che non si tratta di elementi astratti ma concrete costruzioni che qualcuno ha posto lì. A tutto questo si aggiungono le statue: personaggi diversi tra loro, dal re seduto sul trono all'artista che dipinge, dall'agente della security al giocoliere. Se quindi ci troviamo in un'isola abbandonata, c'è anche la netta impressione che molta storia sia passata in questo luogo, e forse siamo arrivati troppo tardi per poterla vedere di persona. Il paragone con Lost viene quasi spontaneo, ma lo scopo di The Witness non è quello di nutrire i misteri. Anzi, è proprio l'opposto: lo scopo ultimo di tutto questo è la conoscenza.

Uno degli aspetti più importanti di questo gioco è che non include nessun tipo di tutorial. Contrariamente a come siamo abituati, a parte un breve flash iniziale che illustra i tasti da usare per muoversi nell'ambiente, al giocatore non viene data nessuna indicazione. Questo può sembrare paradossale per un gioco che si basa sulla soluzione di puzzle, in cui ci si aspetterebbe che, almeno all'inizio, venisse insegnato quali sono le regole da seguire. The Witness non fa nessuno sforzo di questo tipo, limitandosi a fornire alcune sequenze di pannelli "illustrative", che il giocatore può completare in sequenza per cercare di determinare con le sue risorse le leggi da rispettare. Se all'inizio questo meccanismo può sembrare frustrante, soprattutto quando ci si accorge di aver interpretato male gli insegnamenti dei pannelli, col procedere del gioco ci si accorge che questo tipo di comunicazione è più efficace di qualunque istruzione fornita a parole. Nelle fasi più avanzate infatti si riesce quasi a riconoscere in modo subconscio quello che un pannello vuole dire, si capisce quando una regola deve essere applicata in maniera creativa, si intuisce già dal primo sguardo il modo in cui la soluzione deve essere cercata. Si tratta di un accumulo di conoscenze graduale e all'inizio impercettibile, ma che alla fine del gioco cambia completamente la prospettiva con cui si affronta l'esperienza, e la cosa diventa evidente se si inizia una nuova partita.

Una delle critiche più spesso mosse a The Witness è che si tratta di un enorme mondo 3D in cui muoversi solo per risolvere dei puzzle in 2D. Insomma, tanto valeva far comparire i pannelli in sequenza uno dopo l'altro, no?

Beh, no. Perché l'ambiente svolge un ruolo fondamentale nella soluzione di molti enigmi. È vero che tutto quello che si può fare è tracciare linee (in effetti questo è l'unico modo in cui il giocatore può intergaire col mondo), ma ciò che circonda il pannello è spesso determinante per capire non solo come risolvere il puzzle, ma anche che effetto questo comporta. L'esempio più immediato è quello dei cavi di alimentazione, che si accendono una volta risolto un pannello. Seguendoli (in un senso o nell'altro) si può capire dove bisogna dirigersi per procedere, oppure cosa è richiesto per poter avanzare. In realtà l'esplorazione dell'isola è molto libera, e sono poche le zone davvero inaccessibili, anche se può capitare di imbattersi troppo presto in un'area che non si è ancora pronti a risolvere, perché contiene puzzle che non abbiamo ancora imparato a risolvere. Oltre a questo, il mondo che circonda il giocatore è anche una continua fonte di sorprese, dagli ingegnosi trucchi prospettici per cui una macchia di arbusti può assumere forma umana, fino a quella cosa di cui non posso parlare perché è uno spoiler troppo forte e costituisce la più grande rivelazione di tutto il gioco. Ma credetemi, guardarsi intorno, ammirare la bellezza e la complessità dell'isola è parte integrante dell'esperienza di gioco, e anzi è la parte che ha richiesto la maggior parte dei sette anni di sviluppo.

Ok, ma di cosa parla questo gioco? Qual è la "storia" di The Witness? E chi è questo "testimone"?

Ecco, questo è un altro aspetto che è aperto ad interpretazione e che ha deluso molti giocatori. In termini molto generici un plot esiste, ma è davvero molto vago e anche difficile da raggiungere, perché si trova proprio in una di quelle parti dell'isola accessibile solo con un estremo sforzo di attenzione, che molti potrebbero non trovare mai. Ma anche con questi elementi alla mano, la storia risulta davvero effimera e non lineare, con forti componenti metanarrative, qualcosa che non si può raccontare in modo chiaro. E che, in ultima analisi, non riveste un'importanza determinante. Quindi non dovete imbarcarvi in The Witness in cerca della risoluzione dei misteri dell'isola, non dovete aspettarvi di scoprire cosa ci fanno quelle statue, e chi è che ha installato i pannelli e perché c'è un laser che esce fuori da un tempio sotterraneo e punta alla cima di una montagna.

Quello che abbonda in The Witness sono invece gli spunti di riflessione. All'interno del gioco sono infatti sparse diverse decine di registrazioni audio, che raccolgono citazioni di scienziati, filosofi, poeti, mistici, oltre a sei filmati (proiettati in un'apposita sala cinematografica) anch'essi tratti da documentari o conferenze di personaggi come Richard Feynman e Gangaji. Alcuni sono molto lunghi (anche un'ora di durata), ma sono essenziali per trasmettere chiave interpretativa del gioco. Forse il più rivelatore è la clip tratta dal film Nostalghia di Trakovskij, in cui il protagonista cerca di attraversare uno stagno (la piscina di Santa Caterina) con una candela accesa in mano. I suoi sforzi per compiere nel modo giusto un'azione di per sé completamente inutile sono perfettamente in linea con quelli compiuti dal giocatore, e, come viene detto da Feynman in uno degli altri filmati, veicola un perfetto esempio di come un'opera d'arte (Jonathan Blow è convinto che i videogiochi dovrebbero essere equiparati a una forma d'arte) dica molto più su chi l'ha creata che sul mondo esterno. A questo proposito consiglio di guardare questo ottimo video che spiega in modo eccellente la questione, ma attenzione, fatelo solo dopo aver completato e ricominciato il gioco almeno una volta per non incorrere in spoiler. Queste citazioni sembrano illustrare approcci tra loro opposti e in alcuni casi sono in aperta contraddizione: scienza contro religione, ragione contro misticismo, ricerca contro inuito. Eppure, trovarsi con questi spunti nel corso di un gioco che, per sua natura, invita proprio a cercare risposte in modo sempre diverso, si viene colpiti più in profondità, e si arriva a comprendere che forse la strada che si percorre non è poi così importante, purché se ne possa trarre un insegnamento.

Quindi, considerando tutto questo, che cos'è The Witness? Volendo sintetizzare al massimo, si tratta di epiphany porn. Blow voleva qualcosa che mettesse il giocatore nelle condizioni di ottenere una serie quasi programmata di epifanie, termine con il quale si intende il momento in cui qualcosa di precedentemente oscuro si rivela in modo spontaneo come conosciuto e naturale. Questo avviene in primo luogo con i puzzle, ma non solo, e ci sono almeno tre-quattro epifanie davvero eccezionali che valgono da sole tutto il tempo trascorso sull'isola. È anche un gioco che insegna e incoraggia a cambiare prospettiva, in senso letterale e metaforico, e a osservare con attezione ciò che ci circonda. Questo effetto è così forte che straripa al di fuori del gioco, e come tutti affermano, porta a guardare anche il "mondo reale" in modo diverso, alla ricerca di schemi e connessioni che abbiamo imparato a riconoscere o intuire a colpo d'occhio. Infine, come già valeva per Braid è anche un gioco sull'ossessione, sulla necessità di trovare un senso e uno scopo a qualunque cosa. Sembra paradossale, per un gioco che spinge a osservare attentamente ogni particolare al limite della pareidolia, ma questa autoironia non è casuale e non è la prima volta che viene espressa da Blow. In effetti non c'è nemmeno modo di sapere se il gioco è stato finito al 100%, perché non ci sono indizi che rivelano se tutto quello che c'era da trovare è stato trovato, cosa che ha fatto imbestialire i gamer completazionisti.

The Witness comunque non è un gioco per tutti. Non per una questione di intelligenza: molto banalmente, se non siete portati ai puzzle, o se vi annoiano, allora lasciate perdere, perché non troverete soddisfazione. Non potrebbe essere altrimenti per una raccolta di più di 600 puzzle, con un tempo medio di gioco di 80 ore... e si parla solo del tempo effettivo in-game, perché state sicuri che passarete molte altre ore a fare schemi, note, ritagliare pezzetti di carta, disegnare e cancellare linee con la matita. È un gioco che può essere molto frustrante, ma enormemente più soddisfacente. A volte ci si può trovare nel vicolo cieco di un puzzle di cui abbiamo capito male il concetto di base (mi è capitato due volte, ed è davvero terribile), ma anche in quel caso non bisogna disperare. Con il suo ambiente aperto, The Witness invita ad andare altrove, godersi i colori saturi dell'isola e provare altro, o smettere del tutto di cercare, come dice uno dei guru dei filmati. Tutti i puzzle sono risolvibili, con le sole regole fornite all'interno del gioco, senza bisogno di ricorrere ad aiuti esterni di nessun tipo. Con pazienza, tempo e serenità, si può arrivare alla fine (o alle fini) da soli, e godere di tutte le epifanie che Blow ha voluto mettere a disposizione.


The Witness per ora è disponibile solo su PC e PS4 (è previsto che venga rilasciato in seguito anche per altre piattaforme, ma ci vorrà ancora tempo) acquistabile su Steam e Humble Store. Non costa poco, per essere un gioco indipendente, ma vista la durata e intensità dell'esperienza, merita la spesa. Soprattutto sapendo che quei 36 € saranno usati per la realizzazione del prossimo gioco di Jonathan Blow.

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